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La misteriosa origine del Lauburu, simbolo basco con radici controverse

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La misteriosa origine del Lauburu, simbolo basco con radici controverse

ScopriISEgretiDelLauburu Hai mai immaginato che un semplice simbolo basco nasconda storie antiche, misteri celtici e connessioni con la natura che potrebbero cambiare il tuo modo di vederlo? Grazie a un esploratore digitale, riviviamo le curiosità di questo emblema affascinante, che va ben oltre l’orgoglio culturale e potrebbe sorprenderti con i suoi legami segreti!

La storia del lauburu

Come spiega nel suo video il creatore di contenuti, nonostante l’aspetto del lauburu sembri risalire a tempi remoti con le sue caratteristiche braccia ricurve a spirale, non è così antico come molti credono. La sua prima apparizione documentata risale al XVII secolo, rendendolo più moderno di quanto sembri. Nato come semplice ornamento decorativo, ha acquisito un significato più speciale col passare del tempo.

Nel XIX secolo, il lauburu iniziò a guadagnare importanza nella cultura basca, diventando un’icona di orgoglio e appartenenza. Fu utilizzato come spilla dalla comunità euskaldun, dando maggiore visibilità alla lingua. Alcune teorie, poi, lo collegano ai popoli celtici, dove poteva simboleggiare un sole che scaccia il male e fare parte di rituali solari.

Connessione con la natura

Una delle interpretazioni più intriganti del lauburu è il suo legame con gli elementi della natura: aria, terra, fuoco e acqua. I primi due rimandano al lato femminile, legato a emozione e percezione, mentre gli altri alludono al maschile, connesso a mente e fisico.

In ogni caso, questo simbolo descrive anche i quattro punti cardinali e le stagioni dell’anno, dimostrando come il concetto di lauburu vada oltre il culturale o il politico, integrandosi pienamente nella natura in modi che potrebbero stupirti.

Molto vivo al giorno d’oggi

La misteriosa origine del Lauburu, simbolo basco con radici controverse

Oggi, il lauburu è ovunque: lo trovi nella gioielleria, nell’architettura e su bandiere culturali, restando un’icona vivente dell’identità basca. È un simbolo che continua a evolversi, catturando l’attenzione di chi ama le storie nascoste e le tradizioni che resistono al tempo.

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Gesù rivisitato: provocazione artistica o cancellazione simbolica?

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Gesù rivisitato: provocazione artistica o cancellazione simbolica?
Sta facendo discutere la scelta di affidare all’attrice britannica Cynthia Erivo – donna, nera e apertamente omosessuale – il ruolo di Gesù nel celebre musical Jesus Christ Superstar. Una decisione che viene vista da alcuni come un atto di coraggio e inclusività, ma per altri rappresenta un ulteriore passo verso lo svuotamento dei simboli identitari in nome di una visione ideologica.

Non si tratta, come spesso viene sostenuto in questi casi, di razzismo o omofobia. Il talento di Erivo è fuori discussione, così come il diritto del teatro di sperimentare linguaggi nuovi. Tuttavia, è lecito porsi una domanda: perché modificare radicalmente l’identità di una figura simbolica universale come Gesù Cristo?La figura di Gesù – maschile, ebraica, storicamente e religiosamente connotata – ha attraversato i secoli mantenendo un valore spirituale e culturale ben preciso; cambiarne l’aspetto, il genere e il profilo identitario non è un dettaglio creativo, ma un atto profondamente ideologico, un segnale del nostro tempo, in cui ogni rappresentazione tradizionale viene riscritta per adattarsi a criteri di inclusione sempre più rigidi e imposti.

L’inclusività è un valore importante, ma quando diventa un obbligo culturale che trasforma ogni simbolo in qualcosa di instabile e privo di radici, rischia di ottenere l’effetto opposto: non più unire, ma confondere.

Quando tutto può essere tutto, allora nulla ha più significato, e in questo caso non si rompe un tabù per cercare nuove verità, ma si sostituisce un simbolo per riscrivere ciò che rappresenta.

E il pubblico ha il diritto di chiedersi dove finisce l’arte e dove comincia l’ideologia.

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

Una donna uccisa a colpi d’accetta dal figlio, una casa di famiglia trasformata in scena del crimine. A Racale, nel leccese, il pomeriggio del 17 giugno si è consumato un delitto che sconvolge un’intera comunità: Teresa Sommario, 53 anni, è stata trovata senza vita nel proprio appartamento, colpita ripetutamente alla testa e al petto. L’aggressore è il figlio maggiore, Filippo Manni, 21 anni, fermato poco dopo in stato confusionale.

Il dettaglio più inquietante, oltre alla brutalità del gesto, è la sua matrice familiare…la violenza, ancora una volta, non arriva dall’esterno: avviene tra le mura domestiche, dove dovrebbe esserci protezione, affetto o almeno convivenza. Non è un caso isolato, il contesto di conflittualità all’interno della famiglia Sommario era noto ai vicini: litigi frequenti e tensioni che, probabilmente, covavano da tempo.

Resta da capire come e perché questa tensione sia esplosa in modo tanto estremo. È una domanda che accompagna ogni caso di cronaca nera in ambito familiare, ma che continua a non trovare chiarimenti adeguati. Il delitto di Racale ci mette davanti, ancora una volta, al nodo irrisolto della violenza che nasce all’interno di legami affettivi spezzati e distorti.

Il figlio minore, presente al momento dell’aggressione, lancia l’allarme. Anche questo elemento pesa: i figli come testimoni, e spesso vittime indirette, di drammi che segnano per sempre intere esistenze.

L’indagine chiarirà i contorni esatti della vicenda, il movente preciso e le responsabilità. Ma sullo sfondo resta una considerazione difficile da ignorare: le fratture all’interno della famiglia, quando ignorate o sottovalutate, possono degenerare e trasformare una casa qualunque nel teatro di una tragedia.

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