Attualità
“La DAD sta causando danni agli adolescenti”

Quale impatto ha avuto sugli studenti e sulle famiglie la didattica a distanza? Secondo gli psicologi sta causando danni agli adolescenti
Gli adolescenti stanno diventando apatici e irritabili, si stanno isolando e troveranno difficile il rientro a scuola in situazione di normalità. La situazione viene denunciata anche dagli insegnanti e dai genitori. Oltre un anno di pandemia da Covid-19 sta mostrando un marcato effetto sulle persone e sui ragazzi in particolare, esposti a un prolungato distanziamento dalle forme di aggregazione socializzante. Non potendosi riunire in gruppi numerosi a scuola, in classe, i ragazzi trovano rifugio in forme particolari di aggregazione, solitamente rappresentate dai social media. A questo si aggiunge la nuova modalità didattica, svolta attraverso uno schermo. Possiamo immaginare che alla ripresa della vita “normale”, probabilmente il prossimo autunno, i ragazzi possano avere difficoltà di socializzazione in presenza. Soprattutto gli adolescenti e tardo-adolescenti, che maggiormente corrono il rischio di essere ridotti alla sola “socialità tra pari”. Per parlare di questo delicato argomento e affrontarlo da diversi punti di vista, l’associazione Impegno CiVico, nata nel territorio del V municipio romano, ha organizzato una tavola rotonda online coinvolgendo i rappresentanti di ogni settore del mondo scolastico. L’evento online, aperto dal presidente dell’associazione, Mauro Caliste, si terrà martedì 20 aprile 2021 alle ore 18,00 in diretta live sulla pagina FB di Impegno CiVico e sarà moderato dalla giornalista Olga Di Cagno. Interverranno: la psicologa e docente Sarah Capri, la presidente del consiglio d’istituto del liceo Benedetto da Norcia Claudia Carlucci, la studentessa del liceo Immanuel Kant Cristina De Luca, la componente dell’esecutivo nazionale Unicobas Scuola e Università nonché docente del liceo Tullio Levi Civita Barbara Gentili, lo psicologo dei media Stefano Paolillo, una dei genitori dell’Istituto di istruzione secondaria superiore Giorgio Ambrosoli, Mirella Ponticello, la dirigente scolastica del liceo Teresa Gullace e presidente dell’ANDIS (Associazione nazionale dirigenti scolastici) Lazio Alessandra Silvestri.
Durante l’incontro si parlerà delle esperienze dirette vissute da chi vive quotidianamente il mondo della scuola direttamente o indirettamente come i genitori che in questo periodo si sono trovati alle prese con situazioni paradossali come questa: “Io e mio marito collegati ciascuno in una stanza per riunioni online di lavoro, i nostri due figli collegati online ciascuno in un angolo per seguire le lezioni, il cane chiuso in cucina con la nonna per non farlo abbaiare altrimenti disturba, la casa è piccola, la connessione cade, non si sa dove sistemarsi per non disturbare l’altro che parla e non si vuol far vedere che magari in quel momento l’unico posto libero per collegarsi è… il bagno”.
Situazioni che ci fanno sorridere ma che non sono divertenti per chi le vive. L’invasione delle videocamere e degli schermi in casa propria ha fatto sì che cadessero alcune “difese sociali”, come quella della casa come rifugio dove vivere momenti di relax e ha anche messo in mostra le disparità economiche. Perché, anche senza volerlo fare di proposito, colleghi studenti e insegnanti vedono da dove ti colleghi, con quale mezzo, com’è fatta la tua casa, se ci sono altre persone, sentono i rumori di sottofondo, cosa dice chi abita con te… Come vivono gli adolescenti anche questo tipo di invasione della privacy? Cosa succederà tra qualche mese, quando torneranno a vivere una quotidianità ormai sconvolta? Da Impegno CiVico, a conclusione dell’incontro, verranno alcune proposte “perché il nostro motto” dice il presidente Mauro Caliste “è non solo protesta: protesta e proposta”.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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