Cronaca
TIVOLI Operazione antidroga: 11 arresti

TIVOLI Operazione antidroga: 11 arresti.
TIVOLI Operazione antidroga. Il lavoro dei Carabinieri della locale Compagnia si è concentrato, già dalle prime ore di questa mattina, nell’area della città tiburtina e di Guidonia Montecelio. Eseguite 11 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal GIP presso il Tribunale di Tivoli su richiesta della locale Procura della Repubblica. I provvedimenti riguardano altrettanti soggetti (5 in carcere e 6 agli arresti domiciliari), accusati di spaccio aggravato di sostanze stupefacenti. Eseguite inoltre numerose perquisizioni.
“ADRIANO”, questo il nome dell’indagine, ha permesso di ricostruire l’operatività di un gruppo criminale dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti. L’attività illecita avveniva prevalentemente nelle case popolari del quartiere “Adrianella”, anche se non mancavano i luoghi insospettabili. Tra essi, una famosa gelateria nei pressi del sito Unesco ‘Villa Adriana’
L’indagine è partita a febbraio 2019 dall’iniziativa di un militare dell’Arma dei Carabinieri: libero dal servizio, mentre passeggiava per il centro cittadino, quest’ultimo ha percepito una concitata conversazione telefonica tra un professionista del luogo e un’altra persona. Motivo della discussione pagamenti di somme di denaro.
Grazie al loro lavoro, i militari sono riusciti così a svelare le “ramificazioni criminali”, in particolare nella figura di M. S., classe 1989. Questi, dal dicembre 2019 agli arresti domiciliari per detenzione di un fucile a canne mozze, in collaborazione con numerose persone, tra cui L. C. del 1969 e M. M. del 1986, aveva organizzato un fiorente mercato di più tipologie di narcotici. Non solo droghe leggere, ma anche cocaina e crack, piazzate da vari pusher, con lauti guadagni per l’organizzazione.
Attraverso intercettazioni e servizi di osservazione, i Carabinieri sono però riusciti a porre fine all’attività che tendeva a estendersi nei comuni limitrofi e anche al IV e VI municipio di Roma. Scrive il G.I.P.: “”In un periodo di investigazioni relativamente circoscritto – si è trattato di un bimestre che ha compreso gli scorsi mesi di febbraio e di marzo 2019 – i tenaci ed efficaci sforzi dei militari hanno fatto emergere uno scenario francamente allarmante, caratterizzato dalla disinvolta, pervicace e ben organizzata realizzazione, in varie zone del territorio tiburtino, di stabili punti di spaccio di stupefacenti assortiti (cocaina, crack, derivati della cannabis e anche eroina). Principale motore di tale ininterrotta attività di colonizzazione delittuosa di più zone del tiburtino – da Tivoli a Villa Adriana e a Tivoli Terme – è certamente M. S., che promuove, organizza, coordina, rifornisce, controlla e dirige più piazze, presidiate da vari pusher alle sue dipendenze, organizzati su turni e orari nel cuore della notte, talora anche riforniti di vitto e generi di conforto; qui vengono smistati e indirizzati numerosi tossicodipendenti, molti dei quali sono clienti abituali”.
Gli elementi investigativi acquisiti hanno dimostrato:
– che gli spacciatori ricevevano uno stipendio (50 euro a turno), operando su più turni per garantire lo spaccio per 12 ore al giorno (le consegne a domicilio avvenivano invece h24);
– che il pusher di turno veniva rifornito sul posto dello stupefacente. A lui venivano consegnati generi di conforto per evitare che l’attività di spaccio fosse interrotta;
– che i complici dovevano utilizzare utenze telefoniche dedicate per le comunicazioni, in modo da rendere difficile ogni intercettazione telefonica. Non dovevano inoltre cedere stupefacente a credito, nè accettare altre forme di pagamento che non fosse denaro contante.
Durante l’esecuzione dell’operazione, questa mattina, perquisendo la casa di uno degli indagati – un 50enne romano non destinatario di misure cautelari – i Carabinieri hanno rinvenuto 50 g. di hashish. L’uomo è stato perciò arrestato, in flagranza, per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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