Attualità
Paolo Bonolis si dice stanco e sente la necessità di una pausa dalla Televisione

Considerato un protagonista non solo in TV ma anche dell’inaugurazione di Pesaro Capitale della Cultura, Paolo Bonolis è apprezzato per il suo lavoro in molti show televisivi italiani di alta qualità. È noto per programmi come Ciao Darwin, attualmente in onda, e per aver condotto nel passato show come Avanti un altro! e Il senso della vita. Questi programmi hanno avuto un impatto significativo sulla televisione italiana per molti anni. Tuttavia, in una recente intervista rilasciata alla Stampa, Bonolis ammette di sentirsi stanco e pensare a una pausa. Quest’idea era già nella sua mente da qualche anno, ma lui voleva capire come rimanere al passo con i tempi e incontrare un nuovo pubblico.
Il contratto di Bonolis con Mediaset è in scadenza a giugno e il conduttore ancora non sa cosa riserverà il futuro. Anche il suo desiderio di fare televisione sta gradualmente svanendo. Durante l’intervista, ha dichiarato: “Avevo l’intenzione di smettere già due anni fa. Sono andato avanti solo perché se smetto comprometto l’esistenza di molte persone e delle loro famiglie che lavorano con me”. È consapevole che una sua pausa potrebbe comportare una riduzione di lavoro per queste persone. Ora però, Bonolis si sente stanco e pensa che sia il momento di prendersi una pausa seria per evitare la routine e la ripetitività che lo stanno affaticando.
Bonolis è anche alla ricerca di nuovi stimoli e progetti, ma ammette di avere bisogno di uno spazio e dell’energia per pensare a cose nuove. “Ho bisogno di una pausa per rielaborare il mio pensiero e capire cosa sono diventato. Come conduttore, devo essere in grado di catturare lo spirito del tempo e trovare me stesso in esso. Devo capire se ho qualcosa da dire a questa nuova generazione”, spiega Bonolis, che sente la necessità di reinventare qualcosa. Durante gli anni, Mediaset gli ha proposto di condurre diversi format, ma lui ha sempre rifiutato l’idea di presentare qualcosa che non provenisse dalla sua stessa mente.
Inoltre, Bonolis commenta le affermazioni di Sonia Bruganelli riguardo alla loro relazione, rimanendo vago su cosa potrebbe succedere in futuro.
Inoltre, Bonolis afferma di sentirsi responsabile di una delle molteplici sfere della cultura televisiva, contribuendo in un modo diverso da personaggi come Corrado Augias o la famiglia Angela. “Contribuisco promuovendo la libertà di linguaggio, l’ironia, il cinismo positivo”, afferma. Parlando degli stereotipi sociali promossi dalla tv, in particolare quelli riguardanti le donne, fa riferimento al suo programma Ciao Darwin, che ha introdotto la figura di Madre Natura. Bonolis critica l’atteggiamento patriarcale nella televisione, dicendo: “È sbagliato e deve essere combattuto. A Ciao Darwin, nessuno è obbligato a ballare o a fare Madre Natura, lo stesso vale per gli uomini. Non c’è volgarità nel corpo umano. La vergogna è negli occhi di chi guarda. La morbosità è tutta un’altra questione”.
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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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