Attualità
Avvocato accusato di violenza domestica su moglie e figli nega in aula: ‘Sono una brava persona’

Un avvocato di 67 anni ben noto al Foro di Roma si trova ora di fronte alla giustizia, accusato di abusi domestici. Con una affermazione per difendersi, l’uomo ha espresso davanti ai giudici: “Guardate queste mani grosse. Pensate che se avessi aggredito qualcuno non avrei lasciato segni visibili?” Le accuse rivolte a suo carico non coinvolgono un caso in cui avrebbe dovuto svolgere il ruolo familiare di legale difensore, bensì lo svelano come l’accusato.
Il professore è accusato di aver aggredito ripetutamente i membri della sua famiglia, inclusa la moglie e i tre figli. Gli episodi di ira includevano insulti e umiliazioni o peggio, sfociavano in attacchi fisici sotto forma di schiaffi, pugni al viso o alla testa, e calci. Questa violenza prolungata e crescente divenne insostenibile, portando alla denuncia. Il 67enne è stato segnalato di aver aggredito lui e la madre con una cintura, secondo testimonianze del figlio. Il quotidiano Il Messaggero ha descritto uno scenario domestico in cui il comportamento di fronte a colleghi, amici e altri familiari non rivelava lo scenario inquietante dietro le porte chiuse.
Un tragico incidente è stato il catalizzatore per la denuncia. Nel mezzo di una discussione sull’economia domestica, nella Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne del 25 novembre 2022, l’avvocato ha perso il controllo. Ha aggredito la moglie, quindi ha usato la cintura contro il figlio intervenuto per difenderla. Quando la figlia di 23 anni ha lanciato l’allarme, è stata attaccata da una pioggia di schiaffi e pugni a sua volta. È riuscita a fuggire fino a quando non sono arrivate le forze di polizia del commissariato di Villa Glori.
Nel corso del processo, l’accusato ha cercato di difendere la sua reputazione facendo riferimento alla sua carriera professionale: “Sono un avvocato, un professionista incensurato. Sono una persona per bene. Guardate queste mani grosse… vi sembra che se avessi aggredito qualcuno non avrei lasciato dei segni visibili?”. Ha affermato che il litigio con la figlia che lo ha denunciato è scoppiato solo perché si era rifiutato di prestarle l’auto quella sera. Secondo i membri della famiglia, le condizioni domestiche erano peggiorate a causa di alcuni problemi finanziari dell’uomo.
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La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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