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Bufera su Rocca: blocca assunzioni amministrativi sanità Lazio, ritenute non urgenti

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Bufera su Rocca: blocca assunzioni amministrativi sanità Lazio, ritenute non urgenti

Il Partito Democratico (Pd) e i sindacati hanno sottolineato l’assurdo nel sostenere l’assenza di urgenza nell’assunzione. Secondo loro, l’arrivo di nuovo personale nelle strutture sanitarie ed ospedaliere della regione è un bisogno urgentissimo.

Il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha affermato che non c’è urgenza per il personale amministrativo all’interno della sanità laziale. Questo è il motivo per cui l’assunzione dei 228 idonei del concorso indetto a gennaio 2020 dalla Asl Roma 1 non ha ancora avuto luogo. La procedura si è conclusa in agosto e da allora i candidati vincitori, suscettibili di essere assunti come assistenti amministrativi da altre strutture e asl regionali, sono in attesa di una chiamata che però stenta ad arrivare.

Nelle Asl laziali Rocca ha dichiarato che “l’unica urgenza che non abbiamo è sugli amministrativi”. Ha inoltre spiegato che, nonostante certe esigenze specifiche in alcune Asl, la priorità è stata data al personale di pronto soccorso e infermieristico. Tuttavia, i concorsi per questi ruoli vanno spesso deserti, come ad esempio quello per gli psichiatri.

Massimiliano Valeriani, consigliere regionale del Pd, ha però sostenuto che la carenza di personale nella sanità del Lazio non riguarda solo medici e infermieri, ma coinvolge anche le risorse tecniche e amministrative. Questa situazione ha ricadute negative nella gestione delle Asl e degli ospedali e nei servizi ai cittadini.

I vincitori del concorso bloccato possono essere contattati anche da Asl Roma 2, dalla Azienda ospedaliera San Camillo, dal policlinico di Tor Vergata, dall’Ifo e dall’Ares 118. Valeriani ha sostenuto che queste strutture necessitano di nuove risorse umane per migliorare i servizi offerti. Egli critica la strategia politica del centrodestra di ridurre i fondi e il personale della sanità pubblica in favore delle strutture private, causando disagi e criticità negli ospedali di Roma e del Lazio. I sindacati condividono questa preoccupazione.

Giancarlo Cenciarelli, Giancarlo Cosentino e Sandro Bernardini, rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, sostengono che è necessario che tutte le figure professionali siano presenti nel servizio sanitario regionale pubblico, compresi gli amministrativi. Richiamano il Presidente Rocca, sottolineando che il settore sanitario regionale non ha un eccesso di personale amministrativo, ma è drammaticamente sottodimensionato in tutti gli altri profili. Secondo i sindacati, sarebbero necessarie almeno altre 15 mila assunzioni per compensare la sospensione delle sostituzioni e le future pensioni. Il Presidente Rocca, affermano, dovrebbe intervenire immediatamente su questa questione, per garantire la stabilità del sistema sanitario e risolvere i problemi di lunga data della sanità laziale.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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