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Cortina 2026: abbattimento di 500 larici secolari per costruzione pista bob

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Cortina 2026: abbattimento di 500 larici secolari per costruzione pista bob

Gli alberi secolari stanno per lasciare il loro posto a una pista di cemento armato con un costo di oltre 120 milioni di euro, che sarà collocata nel mezzo della conca di Ampezzo. La pista sarà utilizzata da un piccolo gruppo di atleti impegnati nelle discipline del bob, dello skeleton e dello slittino.

Fanpage.it ha recentemente lanciato un nuovo canale WhatsApp. L’obiettivo è notificare gli utenti con aggiornamenti riguardanti il tema.

Nei prossimi giorni verranno abbattuti diversi larici secolari per dar spazio al “Sliding Center”, che sarà la pista di bob per le Olimpiadi di Milano Cortina del 2026. Le prime motoseghe hanno fatto il loro ingresso in un bosco nella città veneta, dove almeno 500 alberi verranno tagliati. Si prevede che gli arbusti lasceranno spazio a un’infrastruttura di cemento armato, che costerà oltre 120 milioni di euro. È previsto che la pista sarà utilizzata da un piccolo gruppo di atleti nelle discipline di bob, skeleton e slittino. Svariate organizzazioni e attivisti ambientali hanno contestato per mesi la realizzazione di questo costoso progetto.

Dopo la conclusione dei Giochi Olimpici, sarà impossibile riutilizzare la pista per altri scopi. Potranno quindi utilizzarla solo gli atleti specializzati in bob e skeleton, che in Italia sono solo poche decine. Oltre ai costi economici, ci sono anche i costi ambientali. Si prevede che saranno necessarie centinaia di migliaia di euro all’anno per refrigerare l’impianto, senza considerare l’impatto della deforestazione.

Tuttavia, c’è un’alternativa praticabile a poco più di un’ora di distanza: la pista di bob esistente a Innsbruck, in Austria. Il Comitato Olimpico Internazionale ha confermato che non c’è nulla che impedisca di utilizzare tale impianto.

Le associazioni ambientaliste e i comitati sono fortemente contrari alla realizzazione della pista di bob a Cortina, definendola una “cattedrale nel deserto”. In realtà, sembra che sarà più come una colata di cemento nelle Dolomiti.

Conclusivamente, le associazioni ambientali sono fortemente contrarie alla realizzazione del progetto e promettono di monitorare la situazione da vicino, intervenendo con qualsiasi mezzo legittimo in caso di violazione delle normative che tutelano l’ambiente e la sicurezza.

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

Una donna uccisa a colpi d’accetta dal figlio, una casa di famiglia trasformata in scena del crimine. A Racale, nel leccese, il pomeriggio del 17 giugno si è consumato un delitto che sconvolge un’intera comunità: Teresa Sommario, 53 anni, è stata trovata senza vita nel proprio appartamento, colpita ripetutamente alla testa e al petto. L’aggressore è il figlio maggiore, Filippo Manni, 21 anni, fermato poco dopo in stato confusionale.

Il dettaglio più inquietante, oltre alla brutalità del gesto, è la sua matrice familiare…la violenza, ancora una volta, non arriva dall’esterno: avviene tra le mura domestiche, dove dovrebbe esserci protezione, affetto o almeno convivenza. Non è un caso isolato, il contesto di conflittualità all’interno della famiglia Sommario era noto ai vicini: litigi frequenti e tensioni che, probabilmente, covavano da tempo.

Resta da capire come e perché questa tensione sia esplosa in modo tanto estremo. È una domanda che accompagna ogni caso di cronaca nera in ambito familiare, ma che continua a non trovare chiarimenti adeguati. Il delitto di Racale ci mette davanti, ancora una volta, al nodo irrisolto della violenza che nasce all’interno di legami affettivi spezzati e distorti.

Il figlio minore, presente al momento dell’aggressione, lancia l’allarme. Anche questo elemento pesa: i figli come testimoni, e spesso vittime indirette, di drammi che segnano per sempre intere esistenze.

L’indagine chiarirà i contorni esatti della vicenda, il movente preciso e le responsabilità. Ma sullo sfondo resta una considerazione difficile da ignorare: le fratture all’interno della famiglia, quando ignorate o sottovalutate, possono degenerare e trasformare una casa qualunque nel teatro di una tragedia.

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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