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Ritrovamento shock a Rocca Priora: Cane ucciso e abbandonato in un sacco dell’immondizia

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Ritrovamento shock a Rocca Priora: Cane ucciso e abbandonato in un sacco dell’immondizia

È stato fatto un raccapricciante ritrovamento in via del Vergaro, nelle campagne di Rocca Priora. Un cane è stato rinvenuto morto, arrotolato in un fragoroso sacco nero. Il sacco è stato scoperto presso il civico 22, appoggiato sulla bordo strada come se fosse un qualunque rifiuto.

Sembrerebbe che a Rocca Priora, il cane sia stato ritrovato all’interno di un sacco nero sigillato con scotch per pacchi. Secondo quanto riportato dalla pagina Facebook “Il giornalino dei randagi di Rocca Priora”, l’animale sembra una femmina che pesa circa 25 chili e non possiede alcun chip.

La cagnolina aveva un nastro adesivo che le legava stretto la vita e un laccio attorcigliato al collo. Inoltre, muso e zampe erano coperte da una sospetta polvere giallastra. Federica Cuccagna ha riferito la notizia, affermando: “Pubblico perché non sappiamo se può essere un cane di qualcuno ucciso da un’altra persona”.

Recentemente è stata annunciata una nuova data per l’apertura dell’Acquario di Roma, prevista per l’8 dicembre 2024. Federica ha aggiunto: “Ovviamente è stato allertato il servizio competente. Simile incidente è accaduto circa tre anni fa, quando ho trovato un giovane rottweiler, senza chip, celato in un sacco in una cunetta di via dei Principi. In entrambi i casi, non erano presenti segni di investimento. Tuttavia, questa femmina aveva dello scotch attorno alla vita, un cordino al collo e una polverina gialla sul muso e sulle zampe”.

Federica ha concluso annunciando di presentare una denuncia alle autorità competenti. Secondo lei, “non è chiaro perché una persona dovrebbe gettare un cane morto sulla strada, anziché seppellirlo o almeno lo nascondere alla vista. Ciò che è certo è che in entrambi i casi, le modalità con cui hanno scartato i corpi dei cani sono notevolmente simili e del tutto inappropriate. Consiglio a tutti di fare attenzione quando fate passeggiare liberamente i vostri cani.”

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

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Omicidio a Racale: quando la violenza nasce dentro casa

Una donna uccisa a colpi d’accetta dal figlio, una casa di famiglia trasformata in scena del crimine. A Racale, nel leccese, il pomeriggio del 17 giugno si è consumato un delitto che sconvolge un’intera comunità: Teresa Sommario, 53 anni, è stata trovata senza vita nel proprio appartamento, colpita ripetutamente alla testa e al petto. L’aggressore è il figlio maggiore, Filippo Manni, 21 anni, fermato poco dopo in stato confusionale.

Il dettaglio più inquietante, oltre alla brutalità del gesto, è la sua matrice familiare…la violenza, ancora una volta, non arriva dall’esterno: avviene tra le mura domestiche, dove dovrebbe esserci protezione, affetto o almeno convivenza. Non è un caso isolato, il contesto di conflittualità all’interno della famiglia Sommario era noto ai vicini: litigi frequenti e tensioni che, probabilmente, covavano da tempo.

Resta da capire come e perché questa tensione sia esplosa in modo tanto estremo. È una domanda che accompagna ogni caso di cronaca nera in ambito familiare, ma che continua a non trovare chiarimenti adeguati. Il delitto di Racale ci mette davanti, ancora una volta, al nodo irrisolto della violenza che nasce all’interno di legami affettivi spezzati e distorti.

Il figlio minore, presente al momento dell’aggressione, lancia l’allarme. Anche questo elemento pesa: i figli come testimoni, e spesso vittime indirette, di drammi che segnano per sempre intere esistenze.

L’indagine chiarirà i contorni esatti della vicenda, il movente preciso e le responsabilità. Ma sullo sfondo resta una considerazione difficile da ignorare: le fratture all’interno della famiglia, quando ignorate o sottovalutate, possono degenerare e trasformare una casa qualunque nel teatro di una tragedia.

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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