Attualità
Chi è Massimiliano Pacchiarotti “Er Porpetta”, gambizzato a Corviale: possibile regolamento di conti

Ricovero di Massimiliano Pacchiarotti
Massimiliano Pacchiarotti, conosciuto come “Er Porpetta”, è ricoverato in prognosi riservata all’ospedale San Camillo dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco ieri a Corviale. Tra le ipotesi, un regolamento di conti con la malavita.

L’Attacco e il Ricovero
Massimiliano Pacchiarotti è stato ricoverato in prognosi riservata all’ospedale San Camillo dopo essere stato colpito da quattro colpi di arma da fuoco alle gambe. L’assalto è avvenuto nel pomeriggio di ieri, mercoledì 15 maggio, in largo Pio Fedi, situato nella periferia sud-ovest di Roma. Secondo le prime indagini, l’attacco potrebbe essere legato a un regolamento di conti nel mondo della droga, avvenuto all’interno del Serpentone di Corviale. Sebbene Pacchiarotti non sia in pericolo di vita, gli investigatori stanno aspettando il via libera dai medici per poterlo interrogare.
Dettagli Sull’Agguato
L’incidente è avvenuto nel primo pomeriggio di mercoledì 15 maggio, nell’XI Municipio di Roma. Secondo le ricostruzioni, Pacchiarotti avrebbe aperto la porta di casa a chi ha sparato. Almeno quattro colpi lo hanno ferito alle gambe, mentre gli autori dell’agguato, tre individui, si sono allontanati a bordo di una Fiat 500 bianca.
Servizio di Soccorso e Indagini
Pacchiarotti è stato soccorso immediatamente dalla moglie, mentre un inquilino del complesso di Corviale ha dato l’allarme. Successivamente, Pacchiarotti è stato trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo. Le indagini sono in corso e si stanno valutando tutte le possibilità per chiarire la dinamica dei fatti e identificare gli autori dell’attacco.
Sparatoria di Cristiano Molè a Gennaio
Cristiano Molè è morto lunedì 15 gennaio in largo Edoardo Tabacchi, a meno di 500 metri dal luogo della sparatoria di ieri. Molè, di 33 anni, è stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco mentre era nel suo fuoristrada. Gli assassini, in una Panda bianca, lo hanno colpito al torace, causandone la morte. Già nel 2014, Molè era stato vittima di un attentato simile, ricevendo colpi alle gambe da due uomini in scooter a Bravetta.

Collegamenti Tra i Due Casi
Le indagini sul caso Pacchiarotti stanno cercando un possibile collegamento con l’omicidio di Molè. I rispettivi profili Facebook mostrano numerose testimonianze della loro amicizia, con foto e video di momenti sereni trascorsi insieme.
Fonte
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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