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Scambio di bare in ospedale: salma di una 90enne rischia viaggio verso l’India

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Scambio di bare in ospedale: salma di una 90enne rischia viaggio verso l’India

Clamoroso Scambio di Bare al Policlinico di Tor Vergata

La Scoperta dei Parenti

“Non aveva mai volato, è assurdo che sarebbe potuto accadere così. Sulla bara c’era il bollino della compagnia aerea che l’avrebbe portata in India. Chi ha autorizzato tutto questo?”, si chiedono i parenti della donna.

Un Fatto Clamoroso

Clamoroso scambio di bare al Policlinico di Tor Vergata a Roma. Secondo quanto riporta Roma Today, al posto della salma della loro cara, una nonnina di 90 anni, i parenti hanno trovato quella di un signore indiano.

La Bara Sbagliata

Il corpo di quest’ultimo avrebbe dovuto fare ritorno in India per la cerimonia funebre. E invece sull’aereo diretto in Asia c’era proprio la bara dell’anziana. Era tutto pronto per il funerale che si sarebbe dovuto tenere oggi, e invece i parenti della nonnina, infuriati, hanno dovuto rintracciare la bara e intraprendere una vera e propria corsa contro il tempo per evitare la partenza del volo diretto in India.

L’Intervento All’Ultimo Minuto

Grazie a una serie di concitate telefonate, riporta ancora Roma Today, la bara è stata bloccata all’ultimo momento dall’ufficio delle dogane dell’Aeroporto di Fiumicino, pochi minuti prima di essere caricata a bordo di un aereo diretto ad Amritsar, in India.

Il Ritorno a Casa

Il feretro è stato quindi restituito ai familiari e adesso la salma, stavolta quella giusta, sarà trasportata in chiesa, dove si celebrerà il funerale prima del trasferimento al cimitero di Prima Porta.

Una Richiesta di Verità

"Non aveva mai volato, è assurdo che sarebbe potuto accadere così. Sulla bara c’era il bollino della compagnia aerea che l’avrebbe portata in India. Chi ha autorizzato tutto questo? Vogliamo sapere la verità", hanno raccontato i parenti al quotidiano online.

Cause dell’Errore Ancora Oscure

Ma com’è stato possibile l’errore e lo scambio delle bare? Per il momento ancora non c’è una risposta ufficiale da parte del policlinico di Tor Vergata. L’ipotesi più probabile è quella di un mero errore da parte del personale dell’ospedale, che per qualche motivo ha inviato a Fiumicino la bara sbagliata.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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