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Decreto Sicurezza: finalmente regole più chiare per chi non rispetta le regole

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Decreto Sicurezza: finalmente regole più chiare per chi non rispetta le regole

Dopo settimane di dibattiti e proteste, il Decreto Sicurezza è stato approvato dal Senato, manca solo la firma del Presidente della Repubblica per diventare legge. Le opposizioni parlano di “svolta autoritaria”, ma forse è il caso di guardare più da vicino cosa prevede davvero questo provvedimento, perché molte delle nuove misure vanno a colpire comportamenti che da troppo tempo restano impuniti, a danno di cittadini onesti.

Bloccare le strade non è una forma di protesta

Una cosa è manifestare, un’altra è bloccare il traffico durante l’ora di punta, impedendo a lavoratori, ambulanze e mezzi pubblici di muoversi. Finora chi lo faceva rischiava al massimo una multa, ora diventa reato, soprattutto se fatto in gruppo: si può arrivare anche a due anni di carcere. Le cause possono anche essere nobili, ma non possono giustificare il caos, la libertà di uno finisce dove comincia quella degli altri.

Case occupate: chi rispetta le regole ha il diritto di essere tutelato

Chi occupa una casa che non è sua mette in difficoltà non solo il proprietario, ma anche chi è in graduatoria per un alloggio o chi sta pagando un affitto con sacrificio. Il nuovo reato di “occupazione arbitraria” punisce anche chi aiuta o favorisce queste occupazioni.

Truffe agli anziani e borseggi: pene più dure per chi se ne approfitta

Il decreto inasprisce anche le pene per chi truffa gli anziani, spesso ingannandoli. Si parla di reati ripugnanti, che colpiscono le persone più fragili, ora chi viene colto in flagranza potrà essere arrestato subito. Anche le borseggiatrici, spesso recidive e difficili da fermare, non potranno più contare sulla maternità per evitare il carcere: chi ha figli ha una responsabilità in più, non una ”scusa” per delinquere.

Canapa: una regolamentazione più rigida per eliminare le situazioni poco chiare

La vendita dei fiori di canapa legale verrà vietata. Una misura discussa, ma che ha il merito di fare chiarezza: troppi negozi si sono nascosti dietro la “canapa light” per vendere prodotti ai limiti della legalità, spesso accessibili anche ai minorenni. Il decreto lascia in vita la parte agricola (i semi), ma mette uno stop a tutto il resto.

Più strumenti alle forze dell’ordine

Gli agenti potranno usare bodycam per documentare i loro interventi e, in alcuni casi, portare un’arma privata anche fuori servizio. Inoltre, se saranno indagati per fatti legati al loro lavoro, avranno un aiuto per coprire le spese legali. Chi rischia ogni giorno per tutelare la sicurezza pubblica ha diritto a essere protetto e messo nelle condizioni di operare al meglio.

Sim ai migranti

Per attivare una nuova SIM telefonica serve un documento di identità valido, una misura che vale per tutti, compresi i migranti. Questo aiuta a garantire maggiore sicurezza e trasparenza nelle comunicazioni, evitando usi illeciti senza compromettere i diritti di nessuno.

Detenzione di materiale con finalità terroristiche

Il decreto punisce chi possiede materiali o istruzioni per compiere atti terroristici: sono inclusi anche oggetti come bottiglie molotov e ordigni incendiari. È importante mettere dei limiti chiari per evitare che questi materiali finiscano nelle mani sbagliate e mettano a rischio la sicurezza di tutti.

Nessuna “deriva”, solo responsabilità

Chi grida allo “Stato autoritario” dovrebbe chiedersi cosa abbiamo fatto finora per tutelare chi rispetta le regole. Questo decreto non limita la libertà di chi rispetta le regole, ma fissa dei limiti per chi, pretendendo dei diritti, viola quelli altrui. La vera giustizia non è debolezza, è equilibrio. E ogni tanto, anche fermezza.

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

Mentre le strade di Roma risuonavano ancora di musica, canti e slogan del Pride, un episodio vergognoso ha ricordato a tutti quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusione: sabato 14 giugno, intorno alle 19:40, subito dopo la fine del Roma Pride, che ha visto la partecipazione di oltre 200.000 persone, una donna trans è stata aggredita nei pressi della stazione Laurentina della linea B della metropolitana.

Secondo quanto denunciato da Gay Help Line, la vittima è stata bersagliata da insulti transfobici e poi inseguita da un uomo. Le frasi urlate “Frocio!”, “Si vede che sei un uomo!” sono lo specchio di un odio che continua a diffondersi nella nostra società, anche quando i riflettori delle grandi manifestazioni si spengono. Fortunatamente, alcuni passanti sono intervenuti, permettendo alla donna di mettersi in salvo su un autobus.

Il servizio di supporto Gay Help Line, che ha ricevuto la segnalazione attraverso il numero verde 800 713 713, lancia ora un appello a chiunque fosse presente in quel momento alla fermata: servono testimonianze, immagini, qualunque elemento possa aiutare a identificare l’aggressore.

In una città che poche ore prima celebrava l’amore, la libertà e la diversità, è inaccettabile che un’aggressione del genere possa accadere in pieno giorno, in un luogo pubblico, tra l’indifferenza di molti.

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