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Crepet critica il Pd: “Poca lucidità e troppa confusione nei comportamenti”

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Crepet critica il Pd: “Poca lucidità e troppa confusione nei comportamenti”

Paolo Crepet, rinomato esperto italiano di psichiatria, analizza la situazione del Partito Democratico (Pd) sul giornale “Libero”. Crepet sostiene che la “sindrome della fantasia compulsiva” possa essere applicata alla situazione del Pd. Sottolinea che c’è un certo smarrimento della segretaria Elly Schlein, causato da una serie di errori comunicativi, dal debutto su Vogue Italia al ritrovo nella Spa umbra, senza tralasciare la consulenza armocromatica.

Tuttavia, Crepet sottolinea che queste anomalie non rientrano nella sfera della psichiatria. Secondo l’esperto, c’è probabilmente una tendenza al masochismo, un impulso autolesivo che, a suo parere, fa parte della storia della sinistra. Lo afferma parlando dall’esperienza personale di un uomo la cui famiglia e la cui tradizione sono radicate in questa dimensione.

Crepet mette in luce la confusione che caratterizza il Pd, etichettandolo come un partito “poco lucido”. Sostiene che il partito ha dimostrato incoerenza nei propri comportamenti, facendo riferimento alle recenti proteste contro la Rai. Crepet punta l’attenzione su una certa confusione logica negli atteggiamenti del Pd, come il caso di un Frecciarossa pieno di giornalisti e politici diretto al Festival di Sanremo, completamente ignorato dal partito.

Nel contesto attuale del Pd, Crepet evidenzia una situazione di “sventura” risultante in un paradosso sociale. Crepet cita come esempio il crescente movimento verde, sostenuto da anni dal Pd, che ora si ritrova a dover affrontare una rivolta di agricoltori, i “lavoratori della terra”. Chiede quindi come possa il Pd andare contro questa demografia pur di sostenere la svolta verde.

Crepet afferma che tutto ciò contribuisce a una situazione di dissociazione. Secondo l’esperto, il Pd sembra aver perso la bussola su come agire e su quale posizione assumere, mettendo anche in luce le complessità legate al conflitto tra Israele e Palestina.

Quando interrogato sull’argomento della violenza da parte di immigrati, la risposta di Crepet è chiara: la violenza è un fenomeno che va indipendente dall’immigrazione. Secondo lui, il vero problema sta nell’integrazione delle seconde e terze generazioni di immigrati, un aspetto che rappresenta il più grande rischio sociale. Precisa che la prima generazione di immigrati è generalmente laboriosa e disposta a lavorare, la seconda si mostra più riottosa mentre la terza è portata a commettere atti di vandalismo.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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