29 Marzo 2024

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Un anno senza Astori — Era il 4 marzo 2018: l’ex capitano viola sarebbe dovuto scendere in campo insieme ai suoi compagni contro l’Udinese. Davide, però, alla Dacia Arena non è mai arrivato. Il suo cuore ha smesso di battere prima del tempo. Allo stato attuale sarebbe lecito considerare superflua una riflessione sul tempo, ma la stessa risulta doverosa. Il tempo ha dato a Davide la possibilità di coronare il suo sogno: dare calci a un pallone. Il sogno, dopo anni nel settore giovanile del Milan, comincia nella stagione 2006-2007, quando Astori esordisce tra i professionisti con indosso la maglia del Pizzighettone, a 90 chilometri da casa sua. Nell’annata successiva Davide si trasferisce alla Cremonese, nuovamente in C1, fallendo per un soffio l’obiettivo promozione in B. Astori però è un difensore promettente, e in Serie A qualcuno lo ha già capito, così l’anno successivo passa al Cagliari, dove resterà per sei stagioni collezionando 174 presenze e 3 reti. Nel marzo 2011 arriva la prima presenza in nazionale, nell’amichevole di Kiev contro l’Ucraina. Nell’occasione Astori entrò in campo al minuto 17, rimediando un cartellino giallo dopo appena un minuto. Al 74′ scattò, per doppia ammonizione, l’espulsione per l’allora centrale del Cagliari.

Frustrazione, demotivazione? Neanche per sogno. Davide è giovane, ma lotta, attende, impara e cresce. Cresce fino a diventare un’icona del club rossoblu, che a malincuore lo cede alla Roma nel luglio 2014. In giallorosso calca per la prima volta i campi europei, esordendo in Champions League nel settembre dello stesso anno, in occasione del roboante 5-1 rifilato al Cska Mosca. Con la maglia della Roma disputa 30 presenze complessive condite dal gol vittoria contro l’Udinese. A Trigoria rimane appena un anno: la stagione successiva segna la svolta della sua carriera. Nel luglio del 2015 la Fiorentina lo acquista dal club capitolino con l’intenzione di farne un’icona del club. Nei primi due anni in viola Davide colleziona 82 presenze realizzando due gol ed entrando gradualmente nel cuore dei tifosi gigliati. La fascia da capitano arriva al termine della stagione 2016-2017, quando Gonzalo Rodriguez lascia Firenze. Dopo appena due stagioni in viola Davide viene dunque nominato capitano, ereditando quella fascia già indossata da gente del calibro di Antognoni, Batistuta, Rui Costa. Con la fascia al braccio Astori assume un ruolo delicato: istruire, imporsi come esempio da seguire, rimproverare, suonare la carica e motivare nei momenti bui. Al Bentegodi, contro l’Hellas Verona, sigla quello che sarebbe stato il suo ultimo gol in carriera, datato 10 settembre 2017. Questo l’excursus sulla carriera di Astori (una carriera portata avanti all’insegna del rispetto, dell’umiltà e di una professionalità meno comune di quanto si possa pensare), che un anno fa sarebbe dovuto scendere in campo alla Dacia Arena. Il suo cuore però ha smesso di battere prima del tempo. Il tempo ha concesso a Davide la possibilità di coronare un sogno, di imporsi sotto l’aspetto atletico, di imporsi sotto l’aspetto umano. Il tempo però non segue dinamiche precise, parte, procede, si ferma. Talvolta si ferma prima della norma. Ancora più superfluo risulterebbe chiedersi cos’è la norma. Che si tratti del concetto di normalità che un padre insegna a un figlio o che si tratti del regolare scorrere di una vita, la norma, nella fattispecie, consisteva nel vedere Davide Astori scendere in campo con la fascia da capitano della Fiorentina. La norma però diventa tale dopo aver abituato le coscienze e l’opinione pubblica a un determinato standard. Rimanendo inchiodati allo standard, risulterebbe dunque fuori luogo considerare norma la fascia da capitano sul braccio di un giocatore che la indossava da appena 6 mesi. Non per Davide Astori, lui era l’eccezione: la sua è stata la storia di un orologio che ha corso più veloce del tempo, di un ragazzo di paese che ha bruciato le tappe, di un marinaio diventato Capitano.

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