Mondo
Profughi e Covid, botta e risposta Sileri Bassetti sulla vaccinazione
Profughi e Covid, scatta l’allarme per i pochi vaccinati, ma il mondo della scienza è diviso

Profughi e Covid, il problema c’è anche se si vorrebbe non vederlo. Il susseguirsi di notizie provenienti dal fronte della guerra aveva fatto decisamente calare l’attenzione sulla pandemia. Ma ora l’arrivo anche del nostro paese di migliaia di persone in fuga dall’orrore l’ha improvvisamente ridestata. Quanti di questi profughi sono effettivamente vaccinati? C’è il rischio che possano portare ad una recrudescenza dell’infezione, ancora presente anche se in calo? Domande che in queste ore si stanno facendo in molti, in trepidante attesa di una risposta da parte del solo mondo in grado di darla: quello della scienza.
PROFUGHI E COVID, QUANTI VACCINATI?
Sul primo quesito si è soffermata la fondazione Gimbe, secondo cui ben il 64% di chi lascia l’Ucraina non sarebbe immunizzato. “Un dato che non va sottovalutato – sottolinea l’ente – vista la drammaticità della situazione“. Parole nette, sufficienti per far scattare il dibattito: chi viene accolto in Italia deve essere sottoposto o no alla vaccinazione? Un dilemma sulla cui soluzione, purtroppo, non si registra concordia tra gli esperti.
PROFUGHI E COVID, PARLA SILERI
C’è infatti chi, come il Sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, ritiene che la questione Covid vada accantonata in favore dello spirito umanitario. “Se sei rifugiato puoi accedere alla nostra sanità. – le parole a ‘Un giorno da pecora’ – Nessuna procedura sarà oltrepassata, nemmeno il tampone a chi arriva. Al quale verrà inoltre offerta la possibilità di vaccinarsi“. “Ma – chiarisce subito dopo – i rifugiati non sono obbligati ad avere il Super Green Pass. Se ciò può portare ad un aumento dei casi? L’aumento può avvenire dovunque ci sia un assembramento. Ma questa al momento mi sembra la preoccupazione minore“.
PROFUGHI E COVID, RISPONDE BASSETTI
Più preoccupato invece l’infettivologo Matteo Bassetti, che vede concreto il pericolo di una nuova ondata con una nuova variante. “Ci sono tutte le condizioni – spiega all’Adnkronos – Dall’alta circolazione del Covid alla scarsa copertura vaccinale, al disagio nelle condizioni socio-economiche e alla scarsa attenzione alle misure di protezione. Senza contare che il clima invernale porta maggiormente ad assembrarsi in luoghi chiusi“.
Attualità
L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.
È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.
Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.
In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.
Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.
Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.
L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.
Attualità
Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.
La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.
Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.
L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.
Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.
La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.
Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.
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