Cronaca
Rossella Nappini, movente economico dietro il delitto?
Rossella Nappini, le ultime sulle indagini sul caso dell’infermiera uccisa al Trionfale

Rossella Nappini ha perso la vita per una questione di soldi? Se lo chiedono, a quanto riporta L’Unità, gli inquirenti che indagano sul brutale assassinio della 52enne. Finita con 20 coltellate lunedì pomeriggio in via Giuseppe Allievo.
La Procura di Roma è al lavoro per chiarire il motivo di tanta efferata violenza, per la quale è stato fermato un operaio marocchino di 45 anni. Con lui Rossella avrebbe avuto una breve relazione lo scorso aprile, mentre l’uomo svolgeva dei lavori di ristrutturazione nella casa dove la donna viveva con la madre.
ROSSELLA NAPPINI, LE ACCUSE A CARICO DEL 45ENNE MAROCCHINO
Il 45enne ha fatto scena muta di fronte al giudice dopo l’arresto. E si teme che possa fare altrettanto anche in occasione dell’udienza di convalida del provvedimento. E’ accusato di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione. Con sè a casa di Rossella aveva infatti il coltello che ha usato per uccidere la 52enne nell’androne. Arma al momento ancora non trovata.
Sul movente, inizialmente era stata battuta la pista passionale, legata alla fine del rapporto. Nelle ultime ore però avrebbe preso corpo quella economica. Forse, ipotizza chi indaga, il 45enne ha chiesto dei soldi all’ex, la quale ha rifiutato scatenando la violenta reazione sfociata nell’omicidio.
Secondo quanto raccontato al Corriere della Sera dalla zia di Rossella, quel pomeriggio la donna doveva andare al bancomat delle Poste per fare un prelievo. Soldi che poi avrebbe dovuto dare all’operaio, in possesso di precedenti per rapina? Agli inquirenti il compito di rispondere a questo interrogativo.
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I tre killer e i loro mandanti: una sentenza che rivela tutto

SvelatoLomicidioCheHaSconvoltoRoma Chi sono i boss della Magliana che hanno orchestrato un’esecuzione brutale sotto gli occhi dei bambini? #Omicidio #Magliana #CronacaNera
Le Prime Condanne Shock
Dopo anni di indagini serrate, il tribunale di Roma ha emesso le prime sentenze per l’omicidio di Andrea Gioacchini, freddato a colpi di pistola il 10 gennaio 2019 proprio davanti all’asilo dei suoi figli. Ugo Di Giovanni ed Emiliano Sollazzo sono stati condannati a 30 anni ciascuno, etichettati come i mastermind dietro l’agguato, mentre Fabrizio Olivani, l’uomo accusato di aver premuto il grilletto, si è beccato 20 anni. Immagina lo shock: un delitto in pieno giorno in un quartiere noto per i suoi clan rivali, che ora porta alla luce oscuri legami mafiosi.
La Ricostruzione dell’Agguato
Gli inquirenti hanno rivelato dettagli agghiaccianti su come Gioacchini sia stato raggiunto da tre proiettili di calibro 7,65 mentre era al volante della sua Toyota, parcheggiata in via Castiglion Fibocchi. Secondo l’accusa, Olivani era appostato su uno scooter, in attesa che la vittima accompagnasse i suoi bambini. Ha fatto fuoco quattro volte: tre colpi hanno centrato Gioacchini alla testa, mandibola e spalla, mentre il quarto ha ferito la sua compagna all’inguine. Gioacchini, un uomo con un passato da sorvegliato speciale e una lista infinita di reati come spaccio e usura, è morto poco dopo in ospedale. Ma cosa ha spinto a un piano così calcolato? Intercettazioni e testimonianze stanno svelando i retroscena.
Il Movente Dietro il Delitto
E se ti dicessimo che questo omicidio era una mossa da vero film mafioso per conquistare il controllo della Magliana? Le motivazioni, secondo la Direzione distrettuale antimafia, ruotano intorno a una lotta per il potere in una zona storicamente contesa dai clan. Di Giovanni, figlio di un boss camorrista, e Sollazzo avrebbero pianificato tutto con mesi di anticipo, fornendo a Olivani l’arma e lo scooter per l’esecuzione. Olivani, a quanto emerso, aveva spiato le abitudini della vittima per giorni, trasformando un atto quotidiano in un’imboscata letale. Un delitto dimostrativo, dicono gli investigatori, per riaffermare la supremazia criminale in un quartiere dove ogni mossa è sotto controllo. Chi pensava che la Magliana fosse solo un quartiere tranquillo?
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Spacciatore di Trastevere accettava pagamenti con POS per la droga: arrestato

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Il pusher 2.0 in azione
In un quartiere vivace come Trastevere, un giovane spacciatore rumeno di 26 anni ha portato lo spaccio al livello successivo, utilizzando Telegram e WhatsApp per gestire gli ordini in modo super moderno. Immaginate: niente più scambi furtivi per strada, ma messaggi rapidi e foto che arrivano direttamente sul telefono del cliente. La polizia l’ha sorpreso mentre era al volante della sua auto, intento a coordinare l’operazione con precisione da esperto.
L’incontro con la giustizia
Gli agenti del I Distretto Trevi-Campo Marzio hanno intercettato l’uomo a bordo di un’auto a noleggio vicino a Ponte Sisto, dove armeggiava nervosamente con il cellulare per inviare posizioni e foto ai suoi acquirenti. Non era un semplice selfie: era l’inizio di uno scambio da brividi. Appena il cliente è arrivato, i poliziotti sono entrati in azione, bloccando tutto sul più bello: 30 euro per meno di un grammo di cocaina.Gli strumenti del commercio illegale
Nell’auto, oltre alle 13 dosi di cocaina pronte per la vendita, c’era un vero e proprio arsenale high-tech: un POS funzionante per accettare pagamenti con carte e bancomat. Gli ordini arrivavano tramite app di messaggistica, rendendo tutto più veloce e discreto. Per questo “corriere espresso” è scattato immediatamente l’arresto per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, lasciando tutti a chiedersi: quanto è cambiata la criminalità ai tempi dei social?
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