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Carlo d’Inghilterra ha un cancro. Ultima Ora

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Re Carlo III diagnosticato con il cancro – Notizie

King Charles III è affetto da cancro, così ha riferito la BBC pochi giorni dopo l’operazione alla prostata alla quale è stato sottoposto il sovrano britannico 75enne.

Il re era stato dimesso il 29 gennaio dalla London Clinic dopo un intervento alla prostata per una condizione benigna, passando tre notti in ospedale. Una volta dimesso si era recato nella sua residenza, accompagnato dalla regina Camilla. Alla partenza dalla clinica, Carlo si era mostrato in pubblico insieme a Camilla, indossando un cappotto scuro e salutando e sorridendo alle persone, ai giornalisti e ai curiosi che erano radunati difronte all’ospedale. Quindi era salito in macchina e si era allontanato con il corteo reale.

Buckingham Palace ha confermato la diagnosi di cancro di re Carlo, precisando che la malattia non riguarda la prostata. La diagnosi è risultata a margine dell’intervento alla prostata effettuato una settimana prima nella London Clinic. Questa è la stessa clinica dove pochi giorni prima era stata operata Kate, la principessa del Galles e consorte dell’erede al trono William, per un delicato intervento all’addome, la natura del quale non è stata specificata.

Il palazzo non ha fornito ulteriori dettagli sulla localizzazione e il tipo di cancro, evidenziando però che è considerato curabile e che Carlo ha iniziato subito un ciclo di trattamenti regolari. A causa di ciò, la pausa dagli impegni ufficiali iniziata dopo l’intervento alla prostata si prolungherà e altri membri senior della famiglia reale sostituiranno il sovrano. Re Carlo prevede comunque di proseguire con i suoi doveri costituzionali di capo di Stato, quindi non sarà necessario alcun supplemento formale.

Dallo stesso Buckingham Palace arriva un comunicato che afferma che il re “rimane totalmente positivo riguardo al trattamento e ha intenzione di tornare al più presto a svolgere pienamente i suoi impegni pubblici”. Il re Carlo, infatti, è stato visto recentemente alla messa domenicale della chiesa di Sandringham, vicino alla residenza reale di campagna nel Norfolk, mostrandosi sorridente e rispondendo ai saluti delle persone. Proprio oggi, è stato annunciato il ritorno dell’erede al trono, principe William, agli impegni pubblici dopo essersi assentato per assistere alla convalescenza di sua moglie, Kate, e badare ai loro figli.

Il principe Harry ha parlato con suo padre del suo cancro e prevede di tornare nel Regno Unito per vederlo nei prossimi giorni, come ha riferito la BBC.

Tutte le forze politiche del Regno Unito si stanno unendo al sovrano. Rishi Sunak, primo ministro britannico, ha espresso i suoi migliori auguri al re tramite X, confidando nel suo pronto ritorno alla piena salute. Il leader laburista Keir Starmer, il primo ministro scozzese e la prima ministra dell’Irlanda del Nord, Michelle O’Neill, hanno fatto altrettanto. Il primo ministro gallese, Mark Drakeford, si è detto rattristato e ha inviato i suoi migliori auguri, espressione di sentimenti condivisi dall’ex premier Boris Johnson.

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.

È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.

Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.

In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.

Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.

Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.

L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.

La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.

Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.

L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.

Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.

La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.

Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.

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