Attualità
Rivolta carcere Civitavecchia, bruciati materassi: “Inferno”

Rivolta nel carcere di Civitavecchia
Rivolta tra i detenuti all’interno del carcere di Civitavecchia. Intorno alle 11 di ieri, lunedì 13 maggio, sono stati incendiati i materassi all’interno delle celle, sono state rotte diverse finestre e poi, con l’idrante, è stata allagata la Sezione Circondariale. Due ore di caos, poi la situazione è tornata alla normalità.
Dichiarazioni del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
Spiega Maurizio Somma, segretario per il Lazio del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Una devastazione folle ma, fortunatamente, non ci sono feriti né tra i detenuti e né tra il personale di Polizia Penitenziaria. Il tutto sembrerebbe nato per futili motivi. Bravissimi i Baschi Azzurri ad agire con grande professionalità e sangue freddo”.
Secondo Donato Capece, segretario generale del Sappe, la situazione a Civitavecchia e nelle altre carceri laziali è allarmante anche perché anche nelle scorse settimane altri agenti hanno subito aggressioni da parte della popolazione detenuta. Il personale è sempre meno, anche a seguito di questi eventi oramai all’ordine del giorno. Prevediamo un’estate di fuoco se non si prenderanno immediatamente provvedimenti concreti e risolutivi. Il personale di Polizia Penitenziaria è allo stremo e, pur lavorando più di 10/12 ore al giorno, non riesce più a garantire i livelli minimi di sicurezza. Fino a quando potrà reggere questa situazione?
Detenuto tenta il suicidio nel carcere di Civitavecchia, gli agenti gli salvano la vita
Come detto, la rivolta dei detenuti è durata circa due ore e poi la situazione è tornata alla normalità. Nel Lazio sono reclusi ad oggi circa 6.700 detenuti, ma i posti regolamentari all’interno dei carceri sono soltanto 5.281, cioè quasi 1500 in meno. Tra le situazioni più difficili ci sono quelle dell’istituto Regina Coeli di Roma, seguito proprio dal carcere di Civitavecchia.
Attualità
Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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