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Vendere casa a Roma: perché rivolgersi a un’agenzia immobiliare e come sceglierla

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Vendere casa a Roma: perché rivolgersi a un’agenzia immobiliare e come sceglierla

Hai un immobile da vendere a Roma e ti stai chiedendo se è il caso di rivolgerti a un’agenzia immobiliare ed eventualmente come scegliere quella più adatta alle tue esigenze? Qui si seguito trovi alcune informazioni e consigli utili.

Un’agenzia immobiliare a Roma ti aiuta a chiudere in fretta e a condizioni più vantaggiose la compravendita

Partiamo dalla prima domanda: rivolgerti a un’agenzia immobiliare a Roma è una delle scelte migliori se hai un appartamento, una villetta, una piccola abitazione privata o qualsiasi altro tipo di immobile che vuoi vendere. Il mercato immobiliare capitolino è affollato da diversi soggetti e ha dinamiche tutte proprie che quasi sempre sfuggono a chi non ha esperienza nel campo e che rendono quella di rivolgersi a un’agenzia immobiliare o a un agente immobiliare professionista una scelta, non tanto obbligata, quanto più consigliata per portare a termine la vendita in minor tempo e con migliori risultati. Se lavori, hai poco tempo o molti impegni personali, del resto, potresti non essere in grado di seguire personalmente e nel migliore dei modi tutti i passaggi della compravendita: un’agenzia immobiliare può farlo al posto tuo, sollevandoti da incombenze e passaggi che spesso risultano dispendiosi in termini di tempo ed energia e possono causarti stress. Se hai ingaggiato un agente immobiliare potrai essere sicuro, soprattutto, di vendere il tuo immobile capitolino alle migliori condizioni per te: nel contrattare prezzo finale, obblighi precontrattuali, eccetera farà infatti sempre per primi i tuoi interessi.

Come scegliere la miglior agenzia immobiliare a Roma

Quanto appena detto suggerisce l’importanza di rivolgersi a un’agenzia immobiliare di fiducia: a Roma ce ne sono numerose e tanta scelta non è sempre sinonimo di miglior scelta. Prima di affidare la compravendita del tuo immobile a una realtà o un’altra faresti meglio a considerare, cioè, alcuni fattori importanti. Da quanto tempo esiste l’agenzia e di che reputazione gode sono tra i questi. Ci sono realtà che, con decenni di attività alle spalle e per aver messo sempre al primo posto le esigenze dei clienti, sono ormai considerate dei veri e propri punti di riferimento in campo immobiliare: assoldarle è garanzia di buoni risultati e in tempi certi. Soprattutto se hai necessità di vendere in poco tempo il tuo immobile, non puoi permetti infatti agenzie che non abbiano un approccio proattivo nella compravendita immobiliare e che non siano perfettamente in grado di matchare domanda e offerta. Una buona conoscenza del mercato immobiliare generale e di quello locale e dei trend immobiliari del momento aiuta in questo senso: una buona agenzia immobiliare a Roma non può non tenere conto, per esempio, dell’exploit a cui anche il settore andrà in contro il prossimo anno in concomitanza con il Giubileo. La capacità di suggerirti strategie di vendita ed eventualmente come modificare in rialzo o in ribasso la richiesta economica in modo da rendere il tuo immobile più appetibile è tra le altre caratteristiche che una buona agenzia immobiliare non può non avere. Tra le ultime c’è anche la capacità di rispondere alle tue richieste, anche quelle che possono sembrare più singolari e sui generis, e farlo con atteggiamento positivo e risolutivo e di consigliarti su aspetti meno noti o che più difficilmente da solo prenderesti in considerazione al momento di mettere in vendita l’immobile.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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