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Diletta Leotta e la pubblicità U-Power: quando la pubblicità oltrepassa il limite

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Diletta Leotta e la pubblicità U-Power: quando la pubblicità oltrepassa il limite

C’è qualcosa che fa più rumore del silenzio: il disagio. Davanti allo spot pubblicitario U-Power con Diletta Leotta, andato in onda e poi sospeso, molti hanno provato proprio questo.

Diletta, bravissima, bellissima e libera di fare quello che vuole, ma perché deve sempre essere il suo corpo al centro? Perché la donna deve ancora oggi essere il “trucco” per vendere qualsiasi cosa, anche delle semplicissime scarpe da lavoro? Ma il lavoro qui non c’entra.

Diletta non è il problema. È lo specchio di un sistema che continua a raccontare il corpo femminile come qualcosa da esibire, non da ascoltare. Un corpo che serve a colpire, non a parlare.

Finché la comunicazione userà le donne così, con lo sguardo maschile a fare da regista, continueremo a confondere libertà con esposizione e sensualità con mercificazione.

L’idea di usare lo sguardo di un bambino per raccontare il desiderio adulto è ancora peggio. È mischiare l’innocenza con l’ammiccamento, e fa rabbrividire. Come possiamo accettare che uno sguardo innocente venga usato in questo modo, come se fosse naturale associare l’ammirazione di un bambino a un corpo femminile in mostra? È un messaggio pericoloso, che nasconde l’innocenza e fa passare per normale qualcosa che normale non è: la sessualizzazione, anche indiretta, di un bambino. Perché dobbiamo farlo passare come se fosse solo una “provocazione” pubblicitaria, quando invece è un abuso della sua purezza?

Nessuno spot nasce per caso. Dietro ci sono creativi, dirigenti, approvazioni…possibile che nessuno abbia avvertito quel senso di disagio? Possibile che nessuno si sia chiesto: “È questo il messaggio che vogliamo dare?”

Non è una discorso moralista, è una richiesta di sensibilità, di rispetto per i bambini, per le donne, per le persone che ogni giorno vedono la loro immagine manipolata, strumentalizzata e svuotata di senso.

In un’epoca in cui l’opinione pubblica è, giustamente, più attenta alla rappresentazione delle donne, dei bambini e delle minoranze, leggerezze del genere non possono accadere.

Il confine tra provocazione e irresponsabilità è sottile, ma esiste. E andrebbe rispettato.

Questo è intrattenimento travestito da marketing, è l’ennesimo tentativo di far parlare con un messaggio provocatorio. Tutto questo funziona, si, fa parlare. Ma a che prezzo?

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Droga, minacce ed incendi tra Roma e Calabria: 11 arresti, smantellata la rete legata al narcotraffico

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Droga, minacce ed incendi tra Roma e Calabria: 11 arresti, smantellata la rete legata al narcotraffico

Undici persone sono state arrestate dai Carabinieri nell’ambito di un’operazione antidroga che ha colpito un’organizzazione criminale attiva tra Roma, Latina e la Calabria. Le accuse nei loro confronti comprendono associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsione e incendio doloso in concorso. Altri tre soggetti risultano ancora ricercati.

L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, è frutto di un’indagine articolata che ha incluso intercettazioni e l’analisi di chat criptate. L’inchiesta si collega ad una precedente operazione condotta nel Gennaio 2022, che aveva già smantellato un’organizzazione criminale, secondo gli investigatori, all’albanese Elvis Demce, condannato in seguito a 18 anni di carcere.

Gli arrestati avrebbero avuto ruoli ben definiti all’interno dell’organizzazione, che si occupava del traffico di cocaina lungo l’asse Roma-Reggio Calabria. Le forze dell’ordine hanno documentato il commercio illecito di almeno 338 kg di cocaina, 1510 kg di hashish e 70 kg di marijuana tra maggio 2020 e marzo 2021 nelle province di Roma e Latina. Tra gli episodi più gravi, uno riguarda l’incendio di una sala scommesse a Roma e le successive minacce di morte rivolte al proprietario, accusato di non aver saldato un debito per l’acquisto di droga.

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Gesù rivisitato: provocazione artistica o cancellazione simbolica?

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Gesù rivisitato: provocazione artistica o cancellazione simbolica?
Sta facendo discutere la scelta di affidare all’attrice britannica Cynthia Erivo – donna, nera e apertamente omosessuale – il ruolo di Gesù nel celebre musical Jesus Christ Superstar. Una decisione che viene vista da alcuni come un atto di coraggio e inclusività, ma per altri rappresenta un ulteriore passo verso lo svuotamento dei simboli identitari in nome di una visione ideologica.

Non si tratta, come spesso viene sostenuto in questi casi, di razzismo o omofobia. Il talento di Erivo è fuori discussione, così come il diritto del teatro di sperimentare linguaggi nuovi. Tuttavia, è lecito porsi una domanda: perché modificare radicalmente l’identità di una figura simbolica universale come Gesù Cristo?La figura di Gesù – maschile, ebraica, storicamente e religiosamente connotata – ha attraversato i secoli mantenendo un valore spirituale e culturale ben preciso; cambiarne l’aspetto, il genere e il profilo identitario non è un dettaglio creativo, ma un atto profondamente ideologico, un segnale del nostro tempo, in cui ogni rappresentazione tradizionale viene riscritta per adattarsi a criteri di inclusione sempre più rigidi e imposti.

L’inclusività è un valore importante, ma quando diventa un obbligo culturale che trasforma ogni simbolo in qualcosa di instabile e privo di radici, rischia di ottenere l’effetto opposto: non più unire, ma confondere.

Quando tutto può essere tutto, allora nulla ha più significato, e in questo caso non si rompe un tabù per cercare nuove verità, ma si sostituisce un simbolo per riscrivere ciò che rappresenta.

E il pubblico ha il diritto di chiedersi dove finisce l’arte e dove comincia l’ideologia.

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