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Armi in Ucraina, Emergency dice no: “Scelta suicida”

Armi in Ucraina, l’appello dell’associazione nel giorno del primo anniversario del conflitto

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Armi in Ucraina, Emergency dice no: “Scelta suicida”

Basta armi in Ucraina. A dirlo è Emergency, per bocca del suo presidente, Rossella Miccio. La numero uno dell’associazione non si dice contraria alla resistenza degli ucraini: “Sarebbe semplicemente folle negargli questo diritto“, dice intervistata da Fanpage. Quello che contesta è che esso si basi solo sull’invio di aiuti militari: “Si sta rivelando una scelta suicida“. Un’affermazione dettata dall’esperienza, trentennale, della ONG nei teatri di guerra: “Neppure in un caso l’invio di armi ha portato ad un aumento della sicurezza, tantomeno alla pace“. Ad un anno dallo scoppio del conflitto, il quadro, spiega la Miccio, è “catastrofico“. Ma non basta: ad esso, a suo avviso, si accompagna un altro aspetto ancora più deplorevole. Ovvero, la “totale inesistenza di qualsiasi lavoro, serio e reale, sul piano diplomatico. Nessuno si è davvero adoperato per un cessate il fuoco, tantomeno per la pace. E questo ci preoccupa enormemente“.

Quindi esprime la propria proposta alternativa: “Bisogna investire sulle relazioni economiche, culturali e sociali. La storia dell’Europa lo dimostra. E’ preoccupante che invece le armi siano l’unica strada. Come lo è l’aumento delle spese militari“. “Il problema – aggiunge – è l’unilateralità dell’azione militare. Siccome non siamo direttamente coinvolti nel conflitto, possiamo supportare gli ucraini anche adoperandoci per raggiungere un accordo“. E conclude: “Noi chiediamo che i paesi terzi favoriscano le condizioni perchè i leader russi e ucraini si parlino e arrivino ad un’intesa che li soddisfi entrambi“. Come ‘paesi terzi’, pensa “sicuramente al Vaticano, che può giocare un ruolo importante“. Ma anche ad altre opzioni: “la Svizzera neutrale, la Cina, le Nazioni Unite. Auspicherei che però finalmente anche gli Stati Uniti assumano il ruolo che sostengono di avere, quello di leadership mondiale dei diritti e della democrazia“.

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.

È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.

Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.

In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.

Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.

Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.

L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.

La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.

Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.

L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.

Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.

La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.

Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.

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