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“In Italia 1% più ricco possiede più del 70% più povero”

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“In Italia 1% più ricco possiede più del 70% più povero”

“In Italia 1% più ricco possiede più del 70% più povero”. Parola di Oxfam.

In Italia 1% più ricco possiede più del 70% più povero“. A lanciare l’allarme sulle disuguaglianze nel nostro Paese è quest’oggi Oxfam. L’organizzazione è intervenuta in Time to care – Avere cura di noi, pubblicato alla vigilia del meeting annuale del World Economic Forum di Davos. La ricchezza globale, nonostante la crescita tra giugno 2018 e giugno 2019, continua fortemente a concentrarsi al vertice della piramide distributiva: l’1% piu’ ricco, a metà 2019, faceva infatti registrare più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Viceversa, la metà piu’ povera dell’umanita’ – circa 3,8 miliardi di persone – non ne sfiorava nemmeno l’1%.

Il dato risultava ancora più significato a livello mondiale: appena 2.153 infatti i miliardari con una ricchezza maggiore di quella detenuta da 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale. Il patrimonio delle 22 persone più facoltose inoltre era superiore alla ricchezza di tutte le donne africane. Se diminuiscono le distanze tra i livelli medi di ricchezza dei Paesi, a crescere è invece la disuguaglianza di ricchezza.

Ciò accade in molti Paesi, tra cui anche l’Italia: qui infatti il 10% più ricco della popolazione possedeva oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero. Un dato che in 20 anni ha visto un incremento del 7,6%, mentre quello relativo alla metà più povera si è ridotto del 36,6%. L’anno scorso, inoltre, l’1% piu’ ricco degli italiani possedeva un patrimonio maggiore rispetto a quello detenuto dal 70% piu’ povero.

INTANTO ALLA CONFERENZA DI BERLINO LA MERKEL FA I COMPLIMENTI A DI MAIO

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Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

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Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

Sfrattato e sgomberato il centro sociale Leoncavallo di Milano.

Milano: eseguito sfratto del centro sociale Leoncavallo

In questo momento a Milano stanno eseguendo lo sfratto del centro sociale Leoncavallo. La notizia battuta dalle agenzie di stampa informa che è stato eseguito il provvedimento di sfratto dell’immobile occupato abusivamente dal centro sociale Leoncavallo. Poco prima delle 9 l’ufficiale giudiziario con la collaborazione della polizia di Stato ha fatto accesso nell’ex cartiera di via Watteau.

Leoncavallo sfratto rinviato 100 volte

Lo sfratto del centro sociale di via Watteau era stato rinviato un centinaio di volte e lo scorso novembre il ministero dell’Interno era stato condannato a risarcire 3 milioni ai Cabassi, proprietari dell’area, proprio per il mancato sgombero. Nei mesi scorsi l’associazione Mamme del Leoncavallo aveva presentato una manifestazione d’interesse al Comune per un immobile in via San Dionigi che poteva rappresentare un primo passo per lo spostamento del centro sociale dall’attuale spazio. Lo storico ‘Leonka’, così lo chiamavano a Milano occupa lo spazio in via Watteau dal 1994.

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Attualità

Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

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Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

In un’Italia dove troppo spesso il silenzio è più forte della giustizia, la storia di Tamara Ianni è un grido potente che squarcia il complice silenzio; ex affiliata a uno dei clan criminali più feroci di Ostia, oggi è una collaboratrice di giustizia. Una donna, una madre, che ha scelto di denunciare, mettendo a rischio tutto, persino la vita della propria famiglia, pur di dire basta.

Il suo nome è emerso ancora una volta grazie a Belve Crime, programma condotto da Francesca Fagnani, che ha avuto il coraggio di affrontare in prima serata temi molto delicati. Nella sua intervista a volto coperto, Tamara Ianni ricorda i momenti che hanno segnato il suo passaggio da complice a testimone chiave nella lotta contro il clan Spada, una delle organizzazioni mafiose più temute del litorale romano; con le sue confessioni e quelle del marito, Micheal Galloni – nipote del boss rivale Giovanni Galleoni detto Baficchio – lo Stato è riuscito ad arrestare 32 membri del clan Spada nel 2018. Una frattura storica nella criminalità organizzata della capitale.

Il prezzo pagato da Tamara Ianni per aver scelto di parlare è stato altissimo, tra intimidazioni, violenze e minacce al figlio di appena due anni: e un boss con lamette infette in bocca, pronto a sputare sangue sul volto di un bambino innocente, nel tentativo di seminare terrore e sottomissione. In quel momento, Tamara ha alzato la testa, non per sé, ma per salvare suo figlio, e in quel gesto si concentra tutta la forza di una donna che ha deciso di rompere la catena del silenzio.

La sua non è solo una testimonianza processuale, è una lezione morale, un atto di coraggio che dimostra come la mafia possa essere affrontata, smascherata e persino colpita nei suoi equilibri più profondi, a patto che chi sceglie di parlare non venga lasciato solo, ma sostenuto, protetto, accompagnato da uno Stato che mantenga la promessa di giustizia.

Ed è proprio qui che si apre una ferita ancora aperta, una domanda scomoda e urgente: cosa stiamo facendo davvero per chi decide di denunciare? L’attentato del 2018, con un ordigno piazzato sulla casa dove Tamara viveva sotto protezione, ci ricorda che il rischio non finisce con una condanna, che la vendetta mafiosa è lenta, subdola, pronta a colpire nel tempo, e che chi collabora con la giustizia spesso è condannato a un’esistenza precaria, fatta di traslochi improvvisi, identità cancellate, isolamento sociale…

In un’Italia dove la criminalità organizzata continua a infiltrarsi nelle periferie, nei quartieri dimenticati, nei vuoti lasciati dalle istituzioni, figure come Tamara Ianni dovrebbero essere riconosciute come figure esemplari, simboli di un cambiamento possibile, di una scelta che, pur nel dolore, ha un valore collettivo enorme. Ma quante donne, quante madri, troverebbero la forza di fare lo stesso, sapendo di dover rinunciare a tutto, anche al diritto di vivere una vita normale?

Per questo la sua storia va ricordata, raccontata, portata nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi della politica e della formazione, perché i giovani capiscano che la mafia non è invincibile e che dire no è possibile.

A volte, il vero eroismo non è nell’impugnare un’arma, ma nel trovare il coraggio di rompere il silenzio, anche quando tutti ti dicono di tacere.

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