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Cashback con targa: in arrivo la novità per i rimborsi da code in autostrada

Cashback con targa: i dettagli dell’iniziativa che renderà la procedura molto più semplice

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Cashback con targa: in arrivo la novità per i rimborsi da code in autostrada

Cashback con targa. Questo il nome di un’autentica boccata di ossigeno per gli automobilisti vittime di code in autostrada. Niente più scartoffie o pile di documenti da esibire: basterà la targa del veicolo, identificata dal sistema, per vedersi restituito l’importo del pedaggio. Ad una condizione però: l’attesa accumulata a causa dell’incolonnamento non dovrà essere inferiore ai 10 minuti. La novità, testata lo scorso settembre, sarà da oggi attiva da Nord a Sud.

CASHBACK CON TARGA, PROBLEMA CANTIERI

Una notizia che ci voleva proprio, visto che in questi anni di problemi le tratte della penisola ne hanno dati a bizzeffe. Soprattutto a causa di quei cantieri sorti come funghi dopo la tragedia del Ponte Morandi. L’evento ha infatti messo in luce il pessimo stato generale della rete, in particolare per quanto riguarda i sistemi antincendio delle gallerie. Si è dovuto quindi correre d’urgenza ai ripari per scongiurare nuovi tristi episodi, e a farne le spese sono stati, come sempre, gli utenti.

CASHBACK CON TARGA, COME ACCEDERVI

Ma ora tutto questo sta per cambiare: chi finirà imbottigliato riceverà infatti dal 25% al 100% di quanto ha pagato per usufruire del servizio. Una somma che forse non basterà ad evitare altri futuri disagi, ma che almeno attenuerà la rabbia per quelli in essere. Per avervi diritto, basterà registrarsi sull’app ‘Free to X‘, inserendo, oltre ai propri dati, il numero di targa dell’auto e l’iban dove effettuare il versamento. L’entità dell’importo corrisposto varierà in base a quanto si è stati fermi e a quanti chilometri si dovevano percorrere. Per riceverlo per intero, servirà essere rimasti in coda per almeno 45 minuti.

Italia

Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

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Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

Sfrattato e sgomberato il centro sociale Leoncavallo di Milano.

Milano: eseguito sfratto del centro sociale Leoncavallo

In questo momento a Milano stanno eseguendo lo sfratto del centro sociale Leoncavallo. La notizia battuta dalle agenzie di stampa informa che è stato eseguito il provvedimento di sfratto dell’immobile occupato abusivamente dal centro sociale Leoncavallo. Poco prima delle 9 l’ufficiale giudiziario con la collaborazione della polizia di Stato ha fatto accesso nell’ex cartiera di via Watteau.

Leoncavallo sfratto rinviato 100 volte

Lo sfratto del centro sociale di via Watteau era stato rinviato un centinaio di volte e lo scorso novembre il ministero dell’Interno era stato condannato a risarcire 3 milioni ai Cabassi, proprietari dell’area, proprio per il mancato sgombero. Nei mesi scorsi l’associazione Mamme del Leoncavallo aveva presentato una manifestazione d’interesse al Comune per un immobile in via San Dionigi che poteva rappresentare un primo passo per lo spostamento del centro sociale dall’attuale spazio. Lo storico ‘Leonka’, così lo chiamavano a Milano occupa lo spazio in via Watteau dal 1994.

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Attualità

Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

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Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

In un’Italia dove troppo spesso il silenzio è più forte della giustizia, la storia di Tamara Ianni è un grido potente che squarcia il complice silenzio; ex affiliata a uno dei clan criminali più feroci di Ostia, oggi è una collaboratrice di giustizia. Una donna, una madre, che ha scelto di denunciare, mettendo a rischio tutto, persino la vita della propria famiglia, pur di dire basta.

Il suo nome è emerso ancora una volta grazie a Belve Crime, programma condotto da Francesca Fagnani, che ha avuto il coraggio di affrontare in prima serata temi molto delicati. Nella sua intervista a volto coperto, Tamara Ianni ricorda i momenti che hanno segnato il suo passaggio da complice a testimone chiave nella lotta contro il clan Spada, una delle organizzazioni mafiose più temute del litorale romano; con le sue confessioni e quelle del marito, Micheal Galloni – nipote del boss rivale Giovanni Galleoni detto Baficchio – lo Stato è riuscito ad arrestare 32 membri del clan Spada nel 2018. Una frattura storica nella criminalità organizzata della capitale.

Il prezzo pagato da Tamara Ianni per aver scelto di parlare è stato altissimo, tra intimidazioni, violenze e minacce al figlio di appena due anni: e un boss con lamette infette in bocca, pronto a sputare sangue sul volto di un bambino innocente, nel tentativo di seminare terrore e sottomissione. In quel momento, Tamara ha alzato la testa, non per sé, ma per salvare suo figlio, e in quel gesto si concentra tutta la forza di una donna che ha deciso di rompere la catena del silenzio.

La sua non è solo una testimonianza processuale, è una lezione morale, un atto di coraggio che dimostra come la mafia possa essere affrontata, smascherata e persino colpita nei suoi equilibri più profondi, a patto che chi sceglie di parlare non venga lasciato solo, ma sostenuto, protetto, accompagnato da uno Stato che mantenga la promessa di giustizia.

Ed è proprio qui che si apre una ferita ancora aperta, una domanda scomoda e urgente: cosa stiamo facendo davvero per chi decide di denunciare? L’attentato del 2018, con un ordigno piazzato sulla casa dove Tamara viveva sotto protezione, ci ricorda che il rischio non finisce con una condanna, che la vendetta mafiosa è lenta, subdola, pronta a colpire nel tempo, e che chi collabora con la giustizia spesso è condannato a un’esistenza precaria, fatta di traslochi improvvisi, identità cancellate, isolamento sociale…

In un’Italia dove la criminalità organizzata continua a infiltrarsi nelle periferie, nei quartieri dimenticati, nei vuoti lasciati dalle istituzioni, figure come Tamara Ianni dovrebbero essere riconosciute come figure esemplari, simboli di un cambiamento possibile, di una scelta che, pur nel dolore, ha un valore collettivo enorme. Ma quante donne, quante madri, troverebbero la forza di fare lo stesso, sapendo di dover rinunciare a tutto, anche al diritto di vivere una vita normale?

Per questo la sua storia va ricordata, raccontata, portata nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi della politica e della formazione, perché i giovani capiscano che la mafia non è invincibile e che dire no è possibile.

A volte, il vero eroismo non è nell’impugnare un’arma, ma nel trovare il coraggio di rompere il silenzio, anche quando tutti ti dicono di tacere.

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