Cronaca
TORVAIANICA Studente di 17 anni muore annegato in mare

TORVAIANICA Studente di 17 anni muore annegato in mare.
TORVAIANICA Studente di 17 anni muore annegato in mare. Fatale un bagno a pochi metri dalla battigia. La vittima si chiamava G.B., era uno studente di Roma e avrebbe compiuto 18 anni il prossimo 14 luglio. L’incidente che gli è costato la vita è avvenuto nel pomeriggio di ieri. Il ragazzo era partito in mattinata dall’Appio Tuscolano, dove viveva con la famiglia, insieme a un gruppo di amici. Aveva deciso di festeggiare l’inizio delle vacanze estive con una giornata al mare presso la costa pometina, già conosciuta e frequentata da parte del gruppo. Che si accampa sulla spiaggia libera vicino al Kafè, uno chiosco attrezzato. Poi nel pomeriggio subito dopo le 4 G. decide di entrare in acqua. Lo segue uno degli amici.
Il mare non è molto mosso, ma, come tutta la costa di Torvaianica, pieno di correnti. All’improvviso l’amico si accorge dell’assenza di G. Lo chiama, ma non riceve risposta. Terrorizzato, cerca annaspando di attirare l’attenzione del resto del gruppo. Che immediatamente chiama il numero di emergenza in mare 1530, facendo arrivare da Fiumicino la motovedetta CP 602, insieme alla guardia costiera locale e ai carabinieri della stazione di Torvaianica. Si aggiunge anche l’assistente bagnante del chiosco, che con il pattino di salvataggio inizia a cercare lo studente insieme ai guardacoste. Alle 16,48 il corpo di G. viene trovato a circa 200 metri dalla battigia, poco più a nord dal punto in cui i due ragazzi si erano tuffati.
Condotto a riva, il povero G. subisce le manovre di rianimazione del personale del 118. Niente da fare: alle 17,06 l’equipe sanitaria non può fare altro che dichiararne il decesso. Gli amici sono ovviamente disperati per una giornata che in pochi minuti da spensierata si è trasformata in tragedia. Storditi e increduli, si chiedono come e soprattutto perché sia successo. «I soccorsi sono stati repentini, si sono mossi tutti», dice una signora in spiaggia con i nipotini. Versione confermata anche da una famiglia che era poco distante dal gruppo di ragazzi romani. «Il bagnino del chiosco è entrato subito in acqua anche se i ragazzi erano sul tratto di spiaggia libera dicono marito e moglie sono arrivati subito anche i carabinieri, la guardia costiera e i medici del 118. Una morte assurda. Li avevamo visti ridere e scherzare pochi minuti prima. Bei ragazzi, giovani, spensierati e poi la tragedia. Da quello che abbiamo potuto capire è successo tutto in una manciata di secondi». Lo studente è stato trascinato dalle correnti per un breve tratto, fino all’ex stabilimento balneare Piccolo Porto, dismesso e abbandonato da anni. Il suo corpo si trova ora all’Istituto di medicina legale a Tor Vergata per l’autopsia. Sabato invece partirà il servizio di bay watch sulle spiagge libere di Torvaianica, organizzato dal Comune di Pomezia su otto postazioni, una proprio sulla spiaggia libera dove si è consumata la tragedia.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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