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Trump lancia la sua sfida nucleare

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Trump lancia la sua sfida nucleare

Una sconvolgente rivelazione del Presidente degli Stati Uniti d’America fa tremare il mondo

Donald Trump e un’inedita arma nucleare. Vanteria fuori luogo o agghiacciante verità? Ancora non ci è dato saperlo. Parliamo della veridicità della rivelazione fatta da Donald Trump al giornalista Bob Woodward, che ha raccolto questa e altre scomode dichiarazioni del Presidente nel suo libro dal titolo “Rage” (Rabbia), in uscita nei prossimi giorni. Rivelazione che getta luce sul possesso da parte degli Stati Uniti di un potente ordigno nucleare.

Le parole del Presidente Trump

“Ho costruito un nucleare… un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo qualcosa che non hai mai visto né sentito. Abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo. Non c’è nessuno… quello che abbiamo è incredibile”. Queste le dichiarazioni di Trump, raccolte dal giornalista durante una serie di 18 interviste fatte al magnate, che includono anche temi quali il suo pensiero sul dittatore nord-coreano Kim Jong-un e sull’emergenza Coronavirus.

La candidatura al Nobel per la Pace

Sembra quasi ironico ma il clamore suscitato dalla dichiarazione “bellicosa” del Presidente arriva nello stesso giorno in cui viene avanzata una proposta di sua candidatura per il prossimo Nobel per la Pace. A farla un parlamentare norvegese, Christian Tybring-Gjedde, che ha ritenuto particolarmente degna di merito la mediazione fatta del Presidente americano riguardo all’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, la cui firma è prevista per il prossimo 15 settembre alla Casa Bianca. Accordo che segnerà una svolta nella normalizzazione dei rapporti tra le due parti in causa. Bisognerà aspettare fino all’ottobre 2021 per vedere se la proposta di Tybring-Gjedde sarà accolta o meno.

Attualità

L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.

È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.

Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.

In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.

Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.

Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.

L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.

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Attualità

Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.

La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.

Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.

L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.

Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.

La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.

Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.

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