Donna
Casellati: “Le donne sono categoria a rischio nella pandemia”

Intervenuta alla tre giorni di “Rinascita Italia: The Young Hope” dell’Associazione “Fino a prova contraria”, la presidente del Senato Casellati dichiara: “Queste occasioni di confronto completo e articolato sono sempre più necessarie dal momento che è cambiata profondamente l’agenda politica italiana, anche rispetto ad un anno fa, a causa di una Pandemia che ci costringe a fare i conti con nuovi scenari italiani e internazionali e con nuove e cambiate priorità e sfide economiche e sociali.”
Sulle donne: “Le donne sono una categoria a rischio dopo questa pandemia, lo sono ad esempio in relazione al telelavoro, chiamiamolo in italiano, che in questi termini può penalizzare ulteriormente le donne facendole tornare indietro di 50 anni. Bisogna invece ricominciare dal coraggio delle donne, dal loro esempio nel dividersi con successo nella gestione di figli, professione, casa, anziani. Voglio ricordare un esempio di donna, un’icona come Ruth Bader Ginsburg, morta lo scorso 19 settembre e che ho potuto incontrare due volte, a Washington e in Senato, sia nella sua veste di docente, che come magistrato; voglio ricordarla perché ci ha mostrato come offrire chiare opportunità professionali alle donne significhi dare la possibilità di mostrare i proprio sogni e i propri talenti”.
La Presidente ha sottolineato il valore anche evocativo dei giovani, presenti oggi all’apertura della scuola di Fino a prova contraria: “I giovani sono stati invisibili nella pandemia, ora devono diventare una priorità per il futuro, e non si può prescindere per fare questo di occuparsi della scuola e dei disagi collegati alla riapertura di questi giorni: Il Governo deve farsi carico della riapertura prendendosi le proprie responsabilità, senza demandarle sui dirigenti scolastici, per evitare di creare discriminazioni tra studenti di serie A e B. La scuola è il luogo della formazione sociale e umana dei nostri ragazzi non può essere ad intermittenza, per questo bisogna investire e per evitare che i maggiori disagi di questo si abbattano sulle donne come avvenuto durante il Lockdown”.
La Presidente del Senato ha fatto cenno al mondo delle imprese: “Le imprese italiane devono dare speranze ai giovani, abbiamo bisogno da un lato di mettere soldi nelle tasche di tutti gli italiani e quindi degli imprenditori che saranno in grado a quel punto di creare lavoro. Il modello per perseguire questa speranza è lo stesso applicato a Genova per la ricostruzione del ponte Morandi che ha funzionato perché fondato sulla chiarezza delle regole.”
Infine ha fatto cenno alla necessità di far ripartire anche la cultura in Italia, ma “tutte queste sfide possono essere vinte solo se Governo e Parlamento rispettano i rispettivi ruoli previsti dalla Costituzione. Si pone per il ricorso avvenuto troppo di frequente ai decreti omnibus, per di più blindati da voti di fiducia, che ha fatto venir meno la democrazia parlamentare, ponendo una questione di metodo democratico”
“La ripartenza passa nel concreto nel programma e nei progetti che saranno finanziati anche dal Recovery Fund per portare nuovo sviluppo; in questo deve impegnarsi il Parlamento, nel suo ruolo di fornire indirizzo politico al Paese, e in Senato sono già iniziati i lavori in tal senso, perché abbiamo bisogno adesso, non fra sei mesi, delle risorse per tradurre programmi e progetti, in atti concreti di sviluppo. Questa è la responsabilità delle istituzioni, ma anche i giovani hanno un ruolo cruciale: dare gambe e voce a questi progetti e migliorarli nelle occasioni di confronto, come accade oggi, per la loro capacità di essere di grande stimolo”.
Attualità
Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

Di fronte all’ennesimo femminicidio, la reazione è spesso la stessa: sconcerto, rabbia, dolore. Poi, troppo spesso, il silenzio. Un silenzio che dura fino alla prossima tragedia, in un ciclo che sembra destinato a ripetersi. Ma la verità è che ogni femminicidio non inizia con un colpo, inizia molto prima, nei gesti piccoli ormai normalizzati e nei ruoli imposti.
La scuola è il primo spazio pubblico in cui i bambini imparano a vivere con gli altri: è il luogo dove si formano le idee, si costruiscono le identità, si assimilano i modelli sociali.. parlare di femminicidio a scuola non significa portare dentro le aule la cronaca nera, ma riconoscere che la violenza di genere è un fatto culturale, prima ancora che criminale.
Serve un’educazione affettiva che aiuti i ragazzi a interrogarsi su cosa significhi amare, rispettare, comunicare e gestire il conflitto. Serve un’educazione emotiva che insegni a nominare le emozioni, riconoscerle, non reprimerle né trasformarle in rabbia.
Eppure, in Italia, l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria. Viene spesso ostacolata, ridotta a interventi occasionali, lasciata alla buona volontà di singoli docenti o associazioni; come se parlare d’amore, di rispetto, di corpo e consenso fosse un tabù più pericoloso della violenza che esplode quando quei temi vengono ignorati.
La scuola ha il dovere di preparare cittadini, non solo studenti. E in una società in cui le disuguaglianze e la violenza di genere sono ancora profondamente radicate, non si può più considerare opzionale l’educazione al rispetto e alla parità. Non basta conoscere Dante o la matematica, se poi non si è in grado di costruire relazioni sane, di accettare un no, di riconoscere la libertà dell’altro come inviolabile.
Il cambiamento culturale non sarà immediato., ma può cominciare in una classe, da una domanda, da una discussione, da un dubbio piantato nella mente di un ragazzo o una ragazza, può cominciare quando smettiamo di pensare che “certe cose” non si dicano ai giovani, e iniziamo invece a fidarci della loro intelligenza e sensibilità.
Se vogliamo davvero fermare i femminicidi, dobbiamo smettere di parlarne solo dopo e cominciare a parlarne prima. Dove si cresce, dove si impara a diventare adulti e dove si può ancora cambiare.
Attualità
Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

Una regione che per anni è stata simbolo delle difficoltà più estreme nell’applicazione della Legge 194/1978, quella che garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ha appena compiuto un passo importante: l’’approvazione dell’articolo 3 del disegno di legge regionale n.738 segna un cambio di rotta netto, profondo, storico. D’ ora in poi, tutte le aziende sanitarie siciliane dovranno garantire spazi dedicati all’IVG e, cosa ancora più significativa, i bandi pubblici per il personale sanitario potranno includere il vincolo di non essere obiettori di coscienza.
Sembra banale, ma non lo è. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 il 60,5% dei ginecologi italiani si dichiarava obiettore, mentre in alcune strutture meridionali si toccavano punte del 90%.
Il problema che pochi si pongono é che mentre il medico si rifiuta, il diritto resta sulla carta.
A chi serve una legge che non può essere applicata?
Questa norma non impone, non forza nessuno a cambiare idea, ma mette al centro una verità che troppo spesso viene dimenticata: la decisione ultima spetta alla donna, non allo Stato, non al medico, non alla morale pubblica. Alla donna.
Guardando da Roma questa svolta siciliana, viene spontaneo chiedersi: e noi?
La Capitale d’Italia, che dovrebbe essere faro di diritti e di accesso alla sanità pubblica, presenta ancora oggi un contesto discontinuo: a Roma l’IVG è garantita in alcuni ospedali, ma i tempi d’attesa sono spesso incompatibili con l’urgenza della decisione, e molte donne finiscono col rivolgersi altrove o al privato.
E allora ben venga la Sicilia, se serve a ricordarci che la libertà di scelta non è un privilegio, ma un diritto e che l’obiezione di coscienza, se diventa regola e non eccezione, è un abuso.
Dietro ogni aborto c’è una storia che non ci riguarda, che non possiamo giudicare e che non ci appartiene.
Roma, città eterna, città delle battaglie civili, ha il dovere di vigilare, di pretendere che in ogni struttura sanitaria il diritto all’aborto sia garantito, non solo formalmente, ma concretamente. Perché quando si parla di IVG, ogni ostacolo, ogni ritardo, ogni silenzio è un fallimento dello Stato.
Il diritto di abortire non è un favore concesso, è una conquista civile, è la libertà di decidere sul proprio corpo, sulla propria vita e sul proprio futuro.
Una donna che sceglie di non diventare madre non è meno donna, né meno degna di rispetto.
Oggi è la Sicilia a dirci che si può cambiare, ora tocca a noi.
-
Cronaca1 giorno fa
La scaletta del concerto dei Duran Duran, quei inglesi rétro, al Circo Massimo a Roma
-
Cronaca2 giorni fa
Saluti fascisti al liceo Malpighi di Roma: la preside abbassa il voto in condotta
-
Cronaca3 giorni fa
Uomo scopre la sua fidanzata con un altro e lo aggredisce, poi prosegue con la routine quotidiana.
-
Attualità3 giorni fa
Toystellers Forever Young: i giocattoli crescono con noi e diventano opere d’arte