Attualità
Minacce al Presidente FdI del VI Municipio, Nicola Franco

Minaccioso Fotomontaggio contro membro di Fratelli d’Italia
Una raffigurazione di Benito Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto è stata modificata con l’immagine del presidente FdI del VI Municipio delle Torri, Nicola Franco. Questi minacciosi manifesti sono apparsi nelle zone periferiche orientali di Roma.
Dettagli sui Manifesti e Indagini in corso
Questi manifesti minacciosi contro Nicola Franco, presidente della Fratelli d’Italia del VI Municipio delle Torri di Roma, sono comparsi nell mattinata di oggi, venerdì 10 maggio, in vari luoghi periferici. La Digos ha aperto un’indagine sul caso. Il fotomontaggio ritrae un episodio storico in cui il volto di Mussolini è stato sostituito con quello di Nicola Franco. Accanto alla foto in bianco e nero sul manifesto, c’è un lungo messaggio che coinvolge anche il capo della Polizia e il prefetto, riferendosi all’espulsione dell’anarchico autogestito Torre Maura Squat, avvenuta il 9 maggio.
Messaggio sul Manifesto
Parte del testo sul manifesto recita: “Contro lo Stato e il fascismo. Non riconosciamo le istituzioni promotrici di campagne repressive atte ad intensificare il processo di gentrificazione, che ha come uno degli obiettivi, quello di murare e cementificare tutte le esperienze di vita, che non rientrano nei loro piani sistematici di omologazione e profitto”.
Reazioni dei Colleghi di Partito
Dopo la scoperta del manifesto di minacce, diversi politici e istituzioni sono intervenute per denunciare l’atto ed esprimere la loro solidarietà a Franco. Il Vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, ha definito i manifesti “inquietanti” e il testo che accompagna la foto “delirante”. Ha poi espresso solidarietà a Franco, affermando: “Tutti a testa in giù, istituzioni, poliziotti, rettori, presidente del consiglio, ministri, tutti appesi per i piedi coloro che vogliono fermare l’Illegalità e restituire dignità alla tanta gente per bene che si sente braccata da un lato dai clan e dall’altro dal degrado e dal sopruso di chi vuole imporre la sua legge con la forza“.
Solidarietà da Francesco Rocca
Il Governatore della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha anch’egli risposto alle minacce rivolte a Nicola Franco, esprimendogli la sua vicinanza: “Voglio esprimere tutta la mia solidarietà al Presidente del Municipio Le Torri, Nicola Franco che oggi ha ricevuto delle minacce ignobili attraverso dei manifesti che lo ritraggono a testa in giù. La Regione Lazio sarà sempre al fianco di Franco e di tutti gli amministratori del territorio che ogni giorno, insieme alle forze dell’ordine e alle istituzioni, sono impegnati per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini. Queste vili intimidazioni non spostano di un centimetro la lotta che sosteniamo a difesa della legalità”. Fonte
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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