Attualità
Alpinista italiano muore sulle Alpi francesi: precipita per 300 metri dopo cedimento neve

Paolo Roasio, un 52enne residente a Verzuolo (Cuneo), è tragicamente deceduto a seguito di un incidente montano sul territorio francese, in prossimità del confine italiano. La Grande appassionato di montagna, Roasio stava facendo una discesa su una pendice della Tête de Fer, una montagna alta più di 2000 metri situata nella regione di Larche, non lontano dal Colle della Maddalena. Questa è un’area popolare tra gli amanti dell’escursionismo e dello scialpinismo.
Mentre stava scendendo, Roasio è inavvertitamente passato su un crinale che improvvisamente ha ceduto. Questo avvenimento potrebbe essere stato causato dalle alte temperature registrate nel corso dell’inverno. A seguito dello scivolamento, l’uomo è precipitato per oltre 300 metri.
I compagni di escursione di Roasio furono i primi ad intervenire, dando subito l’allarme alle unità di salvataggio francesi. Nonostante i tentativi di soccorso, le ferite riportate durante la caduta hanno causato la sua morte.
Roasio era dipendente dell’Alstom di Savigliano, uno stabilimento produttivo specializzato nella realizzazione di treni e locomotive. Le sue passioni principali erano la montagna, che frequentava in tutte le stagioni a piedi, in sci o con la mountain bike, e il disegno.
“Ho ancora difficoltà a crederci – ha dichiarato il direttore del Corriere di Savigliano, Andrea Giaccardi. “Per oltre vent’anni, Roasio ha lavorato come vignettista per il nostro giornale. Il suo talento nel catturare l’ironia e l’umorismo della redazione in una singola vignetta non aveva eguali. Tutti noi alla redazione siamo vicini alla sua famiglia in questo triste momento. Paolo era veramente una persona straordinaria.
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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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