Attualità
Progettazione prolungamento Metro A di Roma oltre Battistini: cambiamenti in arrivo

Il progetto di prolungamento della Metro A di Roma oltre il capolinea di Battistini, come previsto dal Pums, sta prendendo forma. Lunedì scorso, l’amministrazione capitolina ha annunciato la pubblicazione della gara per la progettazione della tratta, come comunicato dall’assessore ai Trasporti, Eugenio Patanè.
Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile prevede lo sdoppiamento della linea per raggiungere da un lato Montespaccato-Grande Raccordo Anulare e dall’altro Montemario. La tratta oggetto di progettazione va da Battistini a Torrevecchia-Montespaccato, con due nuove stazioni interrate di Bembo e Torrevecchia distanti circa un chilometro l’una dall’altra. Sono previsti anche due parcheggi di scambio, con 450 posti a Bembo e 2100 posti a Torrevecchia. Nella stazione di Torrevecchia sono previsti un deposito per sei treni e la predisposizione per il prolungamento fino al Grande Raccordo Anulare.
Durante la presentazione del Secondo Rapporto alla Città, il sindaco Gualtieri aveva annunciato che la gara per la progettazione del prolungamento della Metro A da Battistini a Monte Spaccato sarebbe stata bandita, e che presto Roma Metropolitane avrebbe avuto il compito di progettare il prolungamento fino a Monte Mario, le revisioni del prolungamento della linea B da Rebibbia a Casal Monastero e della linea D. L’obiettivo è di aprire il cantiere della D e di completare i prolungamenti della A e della B entro il 2030.
Tuttavia, nel rapporto è stato rivelato che i finanziamenti per questi interventi erano stati inclusi nella candidatura di Roma per l’EXPO 2030, ma la città ha perso contro Riyad. Il progetto di prolungamento della Metro A ha radici lontane, con un progetto preliminare elaborato nel 2012 che in seguito è stato interrotto a causa della mancanza di copertura finanziaria per gli approfondimenti progettuali e l’affidamento in appalto.
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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