Cronaca
I presunti assassini di Cristiano Molè identificati grazie a una collaboratrice di giustizia.

Chi non lavorava per loro doveva comunque pagare. E quelli che pure venivano irretiti e costretti a svolgere varie funzioni di “supporto” al gruppo non percepivano alcuno “stipendio”. «Mi aveva chiamato senza un motivo particolare e con una pistola alla tempia mi ha costretto ad un rapporto orale», dice una donna che insieme al compagno è rimasta impigliata nella “rete” del trio composto da Manuel Severa, Marco Casamatta e Simone Di Matteo, arrestati con l’accusa di aver ucciso Cristiano Molè e di aver provato a far fuori anche Massimiliano Pacchiarotti.
Preso il terzo killer di Molè. Era seduto in un ristorante
La sorpresa
Lei insieme al compagno iniziano a lavorare per il gruppo de “Il matto” così era conosciuto Severa per le strade del Trullo e di Corviale. Lui era il capo, a scendere ecco Casamatta e Di Matteo, sorpreso dopo oltre tre mesi dei latitanza dagli agenti della Squadra Mobile in un ristorante di Cerveteri. Le indagini sull’omicidio di Molè e sul ferimento di Pacchiarotti ma anche sulla gambizzazione del meccanico della Magliana, Walter Garofalo, condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci, hanno trovato conforto nelle parole della donna che oltre a elencare dettagli e motivi del delitto e delle duplici gambizzazioni, mette a verbale la violenza sessuale subita. Alla fine di giugno la donna racconta ai militari di quanto accaduto nell’appartamento dove, all’epoca, viveva Marco Casamatta, in via Pietro Frattini, zona portuense.
Omicidio di Cristiano Molè a Roma, fermato un uomo in un ristorante di Cerveteri: era in fuga da luglio
La violenza
La donna con una pistola puntata alla tempia viene costretta a subire «Ho dovuto fare quello che mi ordinava – racconta – non ha provato un approccio normale, perché sapeva che non avrei accettato, ha subito usato la pistola per minacciarmi. Mi ha detto di non dire niente a nessuno». Simone Di Matteo che si rivelerà essere il gancio fra la donna e il gruppo si accorge di qualcosa e domanda alla vittima se fossero sorti dei problemi con il Casamatta ma lei per timore tace anche se confiderà all’uomo «Marco è una persona instabile non riesco a stargli vicino».
Il suo racconto viene ritenuto più che verosimile e pertinente se non fosse altro per il fatto che nel suo garage sono state trovate armi fra cui un mitra Uzi. «Ho iniziato ad avere a che fare con le persone di cui ho parlato – ripercorre la donna – perché dovevo ritrovare una persona che mi doveva dare dei soldi. Mi rivolsi a Manuel Severa. Loro mi dissero che mi avrebbero aiutato se io li aiutavo su altre cose. Da qui sono entrata in questo meccanismo dal quale non potevo uscire perché mi avrebbero ammazzato. Loro usano la prepotenza, venivo minacciata. Ho fatto la scelta di collaborare perché sono stata minacciata anche sulla vita dei miei figli».
Una fuga quasi impossibile
Con il compagno, che analogamente fornirà elementi utili alle indagini, la donna aveva pensato anche di fuggire per «non farci trovare ma era difficile». A verbale finirà per esteso e in maniera dettagliata tutta la narrazione dell’omicidio Molè e della gambizzazione di Pacchiarotti il perché ovvero i problemi della prima vittima e i “debiti” della seconda e verranno acquisiti elementi utili anche per il ferimento del meccanico della Magliana. Tutto riferito alla vittima e al suo compagno dagli uomini poi arrestati.
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La denuncia di Federica: l’iniezione che ha cambiato tutto

FillerLabbra #MedicinaEsteticaScoperta L’incubo di una donna sfigurata da un trattamento illegale e low cost – ecco i rischi nascosti del mondo della bellezza!
La tentazione dei social e l’incontro con l’ignoto
Federica Funi, 34 anni di Roma, pensava di aver trovato l’offerta perfetta per rendere le sue labbra più affascinanti, ma il tentativo di risparmiare si è trasformato in un vero disastro. Ogni giorno, scorrendo i feed dei social, si imbatteva in post di dottoresse dell’Est Europa che promettevano risultati sorprendenti. Curiosa e attirata da prezzi apparentemente irresistibili, ha contattato una dottoressa bulgara via Instagram, usando il traduttore per superare la barriera linguistica. Ma quello che sembrava un appuntamento rapido si è rivelato un incubo: iniezioni eseguite in un appartamento affittato, senza verifiche o sterilizzazione adeguata.
I pericoli di procedure non regolamentate
Federica aveva già filler alle labbra, ma la dottoressa non ha esitato a iniettarne altro, ignorando ogni cautela. “Se fosse stata competente, mi avrebbe consigliato di sciogliere prima il vecchio filler”, racconta con rammarico. L’appuntamento, fissato con appuntamenti ogni 30 minuti, si è svolto in una casa di fronte al Colosseo, convertita temporaneamente in uno studio improvvisato. Strumenti non sterilizzati, comunicazioni a gesti e zero visite preliminarie: non c’era traccia di trasparenza o professionalità, alimentando subito i sospetti di Federica.Le conseguenze devastanti e i segni permanenti
Il filler utilizzato, chiamato Sardenya e non autorizzato, non si è riassorbito come promesso, lasciando labbra deformate con bozzi, grinze e un buco al centro. “Sembravo un mostro”, confida Federica, che ha dovuto sottoporsi a interventi dolorosi come l’ialuronidasi e persino piccoli fori per rimuovere il prodotto. Il risultato? Labbra che ora appaiono come un palloncino sgonfio, con effetti psicologici che l’hanno costretta a isolarsi. Tutto per un costo leggermente più basso, che alla fine non è valso nemmeno la promessa di una tecnica “Russian Lips” esclusiva.
Il business sommerso e il silenzio delle vittime
In un mondo di filler low cost e dottoresse itineranti, Federica non è l’unica a cadere in questa trappola. Operazioni a domicilio, senza regolamentazioni, attirano chi cerca shortcut per la bellezza, ma i rischi sono altissimi. Nonostante il trauma, Federica non ha denunciato la dottoressa, complice l’anonimato e il lavoro “a nero”. “Prima ci vai senza pensarci, poi ti chiedi come hai potuto”, ammette, evidenziando un fenomeno che continua a crescere nell’ombra.
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