Attualità
Inaugurata una panchina rossa in memoria di Manuela Petrangeli, vittima di un omicidio dall’ex compagno: “Era una persona generosa”

Una panchina rossa per ricordare il femminicidio di Manuela Petrangeli, la fisioterapista uccisa a luglio a Roma. In tanti hanno voluto ricordarla. Tra i presenti le colleghe, le amiche e la madre della donna.
La Memoria di Manuela Petrangeli
A Roma è stata inaugurata una nuova panchina rossa contro la violenza sulle donne e in memoria della fisioterapista Manuela Petrangeli. Posizionata nei giardini della casa di cura di Villa Sandra, il simbolo è stato voluto dalla struttura per ricordare la donna che lavorava nel centro. “Io sento che, se io ti penso, tu mi senti. Ciao Manuela”, recita la targa.
Il 4 luglio di quest’anno Petrangeli è stata uccisa dall’ex compagno Gianluca Molinaro. Dopo aver sparato colpi di fucile, l’uomo ha confessato il delitto ai carabinieri. Nei suoi confronti la procura di Roma contesta anche l’aggravante della premeditazione. La donna quando è stata uccisa stava andando dal figlio piccolo.
Un Ricordo Condiviso
A distanza di tre mesi, il cortile di Villa Sandra si riempie con una folla di camici bianchi, con gli amici e colleghi di Manuela che si stringono a semicerchio davanti la panchina rossa. “Manuela era una persona altruista”, dicono i presenti, “sempre attenta a tutto e a tutti. Testarda, ma pronta a trovare una soluzione per gli altri”. E ancora: “Aveva la capacità di entrare subito in sintonia con le persone che conosceva. Tutti avevano facilità a confidarsi con lei”, raccontano le sue colleghe e amiche mentre la ricordano.
È presente anche la mamma di Manuela, troppo affranta per parlare, si avvicina alla panchina e la accarezza. Con lei c’è anche il figlio della fisioterapista. Gianluca Lanzi, presidente del Municipio XI, che è intervenuto nel corso dell’inaugurazione, ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa organizzata dalla casa di cura Villa Sandra aggiungendo: “L’ennesimo femminicidio che si è svolto pochi mesi fa proprio qui dietro, in una traversa di via Portuense. È un grido d’allarme rispetto alla qualità dei rapporti che ci sono”.
Attualità
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Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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