Attualità
La commissione intende ascoltare l’avvocata della famiglia di Katy

Le indagini sui casi irrisolti di Emanuela Orlandi, Mirella Gregori e Katy Skerl hanno visto un nuovo sviluppo con il coinvolgimento dell’avvocata Paola Chiovelli. La Chiovelli, rappresentante legale della famiglia di Katy Skerl, è stata infatti chiamata a testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta che indaga sulle scomparse di Orlandi e Gregori, per esplorare eventuali collegamenti con il caso omicidio di Skerl.
Commissione d’inchiesta in cerca di risposte
La commissione bicamerale continua a riunirsi per mettere insieme i pezzi di uno dei puzzle più complessi della cronaca italiana. Gli investigatori sono particolarmente interessati a svelare la verità dietro un possibile collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Katy Skerl. Durante la prossima seduta, il poliziotto Bruno Bosco è atteso per fornire testimonianza su un presunto incontro tra Emanuela Orlandi e un uomo su una Bmw verde, conosciuto come “ragazzo dell’Avon”.
L’enigma di Katty Skerl
Katy Skerl, figura centrale di questa indagine, è stata trovata morta nel gennaio 1984 in un vigneto a Grottaferrata. La giovane è stata brutalmente aggredita e uccisa, ma il movente e il colpevole sono rimasti avvolti nel mistero. La sua tomba è stata successivamente sequestrata, aggiungendo ulteriore sconcerto alla vicenda. Ernesto, cugina di Katy, ha fornito nuove ricostruzioni che potrebbero far luce sulla sua morte.
Marco Accetti: il nodo tra Orlandi e Skerl
Marco Accetti è un nome che ricorre spesso in queste indagini. Autodenunciatasi nel 2013, Accetti ha affermato di essere coinvolto nella sparizione di Orlandi e che l’omicidio di Skerl sarebbe stato una forma di vendetta orchestrata da fazioni opposte all’interno del Vaticano. Sebbene le sue dichiarazioni rimangano non provate, Accetti continua a essere una figura di interesse per gli inquirenti, complicando ulteriormente una vicenda già intricata.
Con il passare degli anni, queste storie continuano a suscitare domande e a mantenere vivo l’interesse pubblico, mentre le autorità cercano di fare chiarezza in un labirinto di ipotesi e indagini in sospeso.
Attualità
Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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