Attualità
Inchiesta aperta dopo la morte di Simonetta Kalfus, donna di 62 anni sottoposta a intervento di liposuzione

Una donna di 62 anni, Simonetta Kalfus, è deceduta dopo un intervento di liposuzione avvenuto in una struttura privata di Pomezia il 6 marzo. Ciò è avvenuto dopo che Kalfus è stata ricoverata in coma irreversibile all’ospedale Grassi di Ostia, dove è morta il 18 marzo.
La salma di Simonetta Kalfus è stata trasferita al policlinico di Tor Vergata per l’autopsia, mentre i carabinieri di Ardea stanno conducendo un’indagine sul caso. La figlia della donna ha presentato denuncia contro i medici responsabili dell’intervento di liposuzione, nel quale Kalfus era stata operata alle cosce e ai glutei. Dopo aver iniziato a manifestare sintomi preoccupanti il giorno successivo all’intervento, il 14 marzo è stata trasferita nell’ospedale di Ostia.
In segno di cordoglio, sui social sono apparsi diversi messaggi, tra cui: “Cara Simonetta Kalfus la tua scomparsa mi addolora la tua bambina amata è distrutta dal dolore dalle tanta forza ti voglio bene amichetta mia eri una donna splendidaRiposa in paceUn bacio ovunque tu sia” e “Simonetta Kalfus, avendoti conosciuto mi ha fatto piacere mi mancherai TVTB Amica mia, Sentite Condoglianze di vero a Michele e alla tua famiglia“. Un altro messaggio recita: “Da poco ho letto la notizia amica mia Simonetta Kalfus sono addolorato per la tua perdita eri una persona speciale, straordinaria sempre col sorriso. Quante risate ci siamo fatti. Ti porto nel cuore amica mia riposa in pace. Abbraccio Eleonora Danilo mi stringo forte a voi e al vostro doloreCiao amica mia“.
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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
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La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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