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Il silenzio assordante: la politica di fronte alla guerra a Gaza

C’è qualcosa di profondamente ingiusto nel silenzio che circonda la guerra a Gaza. Ogni giorno arrivano notizie di bombardamenti, morti, bambini sotto le macerie e ospedali distrutti. Ogni giorno vediamo immagini che dovrebbero scuotere il mondo.
È invece? La politica resta quasi muta, come se tutto questo fosse inevitabile, lontano, oppure troppo complicato per essere affrontato davvero.
Ma cosa c’è di complicato nella morte di civili innocenti? Cosa c’è da giustificare quando interi quartieri vengono rasi al suolo e mancano di cibo, acqua, medicine? La politica internazionale fa grandi discorsi sulla pace e sui diritti umani, ma quando si tratta di Gaza spesso sceglie di guardare altrove. Si usano parole vaghe, si rimanda tutto a un “contesto”, si parla di “difesa” e di “equilibri”, ma intanto la gente continua a morire. Non prendere posizione in questi casi non è neutralità: è complicità. Non dire niente vuol dire accettare che accada ancora, ancora, e ancora.
Ci sono voci che si alzano, certo: cittadini, giornalisti, volontari epersone comuni che non riescono più a stare zitte. Ma chi ha davvero il potere di fermare tutto questo? I governi, le istituzioni internazionali. Ed è lì che il silenzio fa più male. È lì che manca il coraggio. Restare in silenzio davanti all’ingiustizia non è mai una scelta neutrale. È sempre una forma di abbandono. Oggi, più che mai, serve una politica che abbia il coraggio di guardare la verità, anche quando è scomoda. Perché il silenzio non salverà Gaza. Ma potrebbe condannare la nostra coscienza.
E noi, da che parte vogliamo stare?
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Quando a tradire è chi dovrebbe proteggere: la scuola e il dovere della vigilanza

La condanna a sette anni di carcere inflitta al professore di chimica di due scuole romane, accusato di aver molestato cinque studenti quindicenni e di possedere materiale pedopornografico, segna una tappa dolorosa ma necessaria in una vicenda che scuote nel profondo la fiducia delle famiglie nella scuola.
Le testimonianze dei ragazzi, le denunce coraggiose dei genitori, i filmati dei carabinieri hanno tolto ogni dubbio sulla realtà delle violenze subite. La pena inflitta — già ridotta per la scelta del rito abbreviato — è severa ma, per molti, comunque insufficiente per il dolore causato alle vittime.
Eppure questa sentenza deve rappresentare soprattutto un punto di partenza, perché non basta condannare chi ha commesso il male: bisogna interrogarsi sulle condizioni che lo hanno permesso e sulle azioni da mettere in campo per prevenire casi simili.
Come è possibile che un professore già sotto indagine sia rimasto al suo posto, continuando a «scherzare e toccare» ragazzi inermi? Come è possibile che la segnalazione di un collega e i comportamenti «poco professionali» osservati dai compagni non siano bastati a fermarlo prima? Cosa manca nei nostri istituti, nelle procedure disciplinari, nella formazione del personale e nella vigilanza interna?
La sicurezza psicologica e fisica dei ragazzi deve venire prima di ogni altra considerazione: occorrono linee guida chiare, sportelli di ascolto, formazione specifica per il personale e una cultura che non banalizzi certi comportamenti come “scherzi”, ma li riconosca subito come violenze.
Sette anni di carcere e l’interdizione perpetua da ruoli a contatto con minori impediranno a quell’uomo di fare altri danni, ma la sfida più grande è fare in modo che quei ragazzi, e tutti i loro coetanei, possano tornare a sentire la scuola come una casa sicura.
Roma e dintorni
Incidente a Roma, scontro tra auto e moto su via Ostiense: un morto

(Adnkronos) – Drammatico incidente oggi, giovedì 10 luglio, sulla via Ostiense all’altezza di via del Fosso di Dragoncello a Roma. Secondo le prime informazioni sono rimaste coinvolte un’auto e una moto che si sono scontrate in mattinata. La polizia locale di Roma Capitale del X gruppo Mare è ancora sul posto con cinque pattuglie per i rilievi.
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