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Antonio Martino ha rubato la scena al Clec Fashion Festival di Valencia Video

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Antonio Martino ha rubato la scena al Clec Fashion Festival di Valencia Video

Il rinomato designer italiano Antonio Martino ha rubato la scena al Clec Fashion Festival di Valencia, presentando con successo alcune delle sue creazioni più iconiche.

L’evento, svoltosi il 27 e il 28 ottobre presso L’Hemisfèric della Città delle Arti e delle Scienze di Valencia, ha messo in luce il talento di Antonio Martino unico nome illustre presente insieme ad  Agata Ruiz de la Prada. Il Clec Fashion Festival ha posto l’attenzione su una tematica di cruciale importanza: il cambiamento climatico. Quest’ultimo è stato il fulcro centrale dell’intero evento, evidenziando l’impegno dell’industria della moda verso questioni di sostenibilità e consapevolezza ambientale.

Antonio Martino, l’unico stilista italiano ad essere invitato all’evento, ha concluso la prima giornata con un memorabile spettacolo. La sua collezione di abiti di lusso, dal taglio rigorosamente  sartoriale e contemporaneo, ha visto il rosso emergere come colore protagonista, catturando l’attenzione e lasciando un’impronta indelebile nel panorama della moda.

 

Come lo stesso fashion designer ha dichiarato: “Questa esperienza internazionale mi ha regalato una grande emozione quella di aver sfilato nell’Hemisfèric della Città delle Arti e delle Scienze di Valencia,  in questo complesso costruito dall’architetto Santiago Calatrava che considero un genio, un visionario.

Tutte le mie collezioni sono fortemente ispirate all’architettura, e questa per me è stata una doppia soddisfazione: le mie creazioni che sono vere e proprie architetture in tessuto che sfilano in uno dei complessi architettonici più famosi ed innovativi nel mondo. Non potevo desiderare altro, una sensazione unica mai provata, mi sentivo “come a casa”, assolutamente a mio agio.

Avevo in passato già reso omaggio al maestro Calatrava quando avevo girato il mio fashion film nella Vele “incompiute” di Tor Vergata a Roma e per me ritrovarmi nell’opera finita maestosa di Valencia è stato fortemente emozionante.

Ho fatto sfilare 18 look, capi iconici che rappresentano al meglio la mia couture, dal tailleur all’abito da sera. I tessuti utilizzati sono sete, tulle e pizzo ma è soprattutto la sperimentazione nei tessuti che è un mio punto di forza: pelle, tessuti tecnici utilizzati come accessori, che creano volumi, anche importanti.

Dettagli in pelle argento specchiata, intarsi di pelle che vanno ad impreziosire le giacche dei tailleur o intrecci per rendere femminili abiti in colori a contrasto come il rosso e il nero, per una donna molto femminile ma, al contempo molto contemporanea, con una nuvola sul decolleté che sembrava essere in perfetta sintonia con le opere sospese sul fiume di Valencia.”

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Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

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Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

Di fronte all’ennesimo femminicidio, la reazione è spesso la stessa: sconcerto, rabbia, dolore. Poi, troppo spesso, il silenzio. Un silenzio che dura fino alla prossima tragedia, in un ciclo che sembra destinato a ripetersi. Ma la verità è che ogni femminicidio non inizia con un colpo, inizia molto prima, nei gesti piccoli ormai normalizzati e nei ruoli imposti.

La scuola è il primo spazio pubblico in cui i bambini imparano a vivere con gli altri: è il luogo dove si formano le idee, si costruiscono le identità, si assimilano i modelli sociali.. parlare di femminicidio a scuola non significa portare dentro le aule la cronaca nera, ma riconoscere che la violenza di genere è un fatto culturale, prima ancora che criminale.

Serve un’educazione affettiva che aiuti i ragazzi a interrogarsi su cosa significhi amare, rispettare, comunicare e gestire il conflitto. Serve un’educazione emotiva che insegni a nominare le emozioni, riconoscerle, non reprimerle né trasformarle in rabbia.

Eppure, in Italia, l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria. Viene spesso ostacolata, ridotta a interventi occasionali, lasciata alla buona volontà di singoli docenti o associazioni; come se parlare d’amore, di rispetto, di corpo e consenso fosse un tabù più pericoloso della violenza che esplode quando quei temi vengono ignorati.

La scuola ha il dovere di preparare cittadini, non solo studenti. E in una società in cui le disuguaglianze e la violenza di genere sono ancora profondamente radicate, non si può più considerare opzionale l’educazione al rispetto e alla parità. Non basta conoscere Dante o la matematica, se poi non si è in grado di costruire relazioni sane, di accettare un no, di riconoscere la libertà dell’altro come inviolabile.

Il cambiamento culturale non sarà immediato., ma può cominciare in una classe, da una domanda, da una discussione, da un dubbio piantato nella mente di un ragazzo o una ragazza, può cominciare quando smettiamo di pensare che “certe cose” non si dicano ai giovani, e iniziamo invece a fidarci della loro intelligenza e sensibilità.

Se vogliamo davvero fermare i femminicidi, dobbiamo smettere di parlarne solo dopo e cominciare a parlarne prima. Dove si cresce, dove si impara a diventare adulti e dove si può ancora cambiare.

 

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Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

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Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

Una regione che per anni è stata simbolo delle difficoltà più estreme nell’applicazione della Legge 194/1978, quella che garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ha appena compiuto un passo importante: l’’approvazione dell’articolo 3 del disegno di legge regionale n.738 segna un cambio di rotta netto, profondo, storico. D’ ora in poi, tutte le aziende sanitarie siciliane dovranno garantire spazi dedicati all’IVG e, cosa ancora più significativa, i bandi pubblici per il personale sanitario potranno includere il vincolo di non essere obiettori di coscienza.

Sembra banale, ma non lo è. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 il 60,5% dei ginecologi italiani si dichiarava obiettore, mentre in alcune strutture meridionali si toccavano punte del 90%.

Il problema che pochi si pongono é che mentre il medico si rifiuta, il diritto resta sulla carta.

A chi serve una legge che non può essere applicata?

Questa norma non impone, non forza nessuno a cambiare idea, ma mette al centro una verità che troppo spesso viene dimenticata: la decisione ultima spetta alla donna, non allo Stato, non al medico, non alla morale pubblica. Alla donna.

Guardando da Roma questa svolta siciliana, viene spontaneo chiedersi: e noi?

La Capitale d’Italia, che dovrebbe essere faro di diritti e di accesso alla sanità pubblica, presenta ancora oggi un contesto discontinuo: a Roma l’IVG è garantita in alcuni ospedali, ma i tempi d’attesa sono spesso incompatibili con l’urgenza della decisione, e molte donne finiscono col rivolgersi altrove o al privato.

E allora ben venga la Sicilia, se serve a ricordarci che la libertà di scelta non è un privilegio, ma un diritto e che l’obiezione di coscienza, se diventa regola e non eccezione, è un abuso.

Dietro ogni aborto c’è una storia che non ci riguarda, che non possiamo giudicare e che non ci appartiene.

Roma, città eterna, città delle battaglie civili, ha il dovere di vigilare, di pretendere che in ogni struttura sanitaria il diritto all’aborto sia garantito, non solo formalmente, ma concretamente. Perché quando si parla di IVG, ogni ostacolo, ogni ritardo, ogni silenzio è un fallimento dello Stato.

Il diritto di abortire non è un favore concesso, è una conquista civile, è la libertà di decidere sul proprio corpo, sulla propria vita e sul proprio futuro.
Una donna che sceglie di non diventare madre non è meno donna, né meno degna di rispetto.

Oggi è la Sicilia a dirci che si può cambiare, ora tocca a noi.

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