Mondo
Lascia Margrethe II, l’ultima regina della Danimarca. Ora una nuova era
Margrethe II abdica in favore del figlio Frederik X

Dopo 52 anni di regno, Margrethe II lascia il trono di Danimarca in mano al figlio Frederik X. La sovrana aveva ereditato il trono dal padre, Frederik IX, nel 1972. La decisione è stata comunicata durante il messaggio di fine anno, sorprendendo il pubblico, dato che Margrethe aveva sempre manifestato realismo nelle sue decisioni.
La scelta è stata dettata dalla necessità di garantire una transizione alla nuova generazione. Si è basata anche sull’intervento chirurgico subito dalla regina nel 2023, seguito da un periodo di riabilitazione. L’operazione aveva messo in luce la necessità di pensare al futuro del regno.
Il 14 gennaio 2024, Margrethe II abdicherà, passando il titolo al principe ereditario Frederik. Quest’ultimo è sposato con Mary, nata Donaldson, proveniente dall’Australia. La coppia avrà il compito di condurre il regno verso il futuro.
Frederik, noto per la passione per le supercar e le feste, ha promesso di guidare il regno nel corso del Giubileo reale. La proclamazione ufficiale di Frederik X avverrà al palazzo reale di Christianborg, dove si celebrò il Giubileo d’oro della regina Margrethe.
Il nome di Frederik X richiama alla mente la storia millenaria della casa reale danese, che vanta 1.200 anni di storia. Il casato di Cristiano IX è conosciuto come il suocero d’Europa, per aver piazzato le sue figlie su vari troni europei.
La decisione di Margrethe II sottolinea l’importanza di una transizione pacifica nell’ambito della monarchia danese. La regina ha dimostrato una volta di più il suo realismo nel garantire un futuro stabile al regno.Danimarca: L’era del nuovo Re Federico X e della regina Mary la borghese
Il passaggio della corona danese è imminente con l’inizio dell’era del nuovo Re Federico X e della regina Mary, considerata “borghese”. Federico è noto per la sua padronanza dell’inglese, francese e tedesco, quest’ultimo appreso dal padre. La regina Margrethe aveva deciso di cambiare l’assetto della casa reale, eliminando il titolo di principe per i figli dell’erede al trono. Tali decisioni hanno creato tensioni familiari, specialmente per il Principe Joachim, il quale ha visto i suoi figli privati del titolo di principe. La coppia reale è impegnata nell’ambito della sostenibilità e dell’ambiente, condividendo la passione per i temi “green” e impegnandosi per la transizione ecologica della Danimarca. La nuova regina consorte Mary si è espressa sul suo ruolo come principessa, sostenendo il lavoro globale per contrastare l’emergenza climatica e promuovendo soluzioni eco-sostenibili. La coppia reale conferma inoltre la propria modernità e apertura verso temi quali musica pop, arte contemporanea e sport. Il nuovo erede al trono, il principe Christian, è descritto come sportivo e disciplinato, con un’attitudine aperta e informata sulle sfide globali.
Attualità
L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.
È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.
Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.
In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.
Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.
Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.
L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.
Attualità
Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.
La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.
Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.
L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.
Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.
La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.
Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.
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