Attualità
Test salivare per diagnosi rapida del cancro al seno: il funzionamento

Un dispositivo innovativo, sviluppato da un gruppo di ricercatori internazionali, si trova attualmente in fase di sperimentazione. I primi risultati sono positivi: poche gocce di saliva potrebbero essere sufficienti per rilevare la presenza dei biomarcatori tumorali in pochi secondi.
La diagnosi precoce può svolgere un ruolo cruciale nella lotta contro il cancro. Per questo motivo, la ricerca oncologica sta intensificando gli sforzi per migliorare le tecniche diagnostiche esistenti e individuare nuovi metodi, più efficaci e meno invasivi.
Un gruppo di ricercatori provenienti dall’Università della Florida e dall’Università Nazionale Yang Ming Chiao Tung di Taiwan ha collaborato su un progetto ambizioso: l’obiettivo è sviluppare un test salivare in grado di diagnosticare il tumore al seno. Sebbene lo studio sia ancora in fase sperimentale, i primi risultati appaiono incoraggianti.
Il test salivare proposto dovrebbe essere in grado di rilevare i biomarcatori – le molecole che indicano la presenza di cancro – attraverso poche gocce di saliva e in pochi secondi. L’impiego del test dovrebbe essere semplice ed intuitivo: il campione di saliva viene collocato su una striscia reattiva, trattata precedentemente con anticorpi specifici. Questi anticorpi sono in grado di rilevare i biomarcatori del cancro al seno dopo aver ricevuto impulsi elettrici.
Il dispositivo proposto è della dimensione del palmo di una mano e utilizza strisce reattive economiche e facilmente reperibili sul mercato, simili a quelle utilizzate per il rilevamento del glucosio. I risultati ottenuti durante la fase di test hanno mostrato che il dispositivo è capace di distinguere tra tessuto del seno sano, tumore al seno in stadio precoce e tumore al seno avanzato in un gruppo di prova di 21 donne. Durante questa fase, i dati sono stati raccolti utilizzando la piattaforma Arduino, ideata in Italia nel 2005 per applicazioni mediche.
I ricercatori indicano che il dispositivo richiede una quantità minima di saliva per funzionare efficacemente e può fornire risultati accurati anche a basse concentrazioni di biomarcatori. Questo lo rende un metodo diagnostico non invasivo per le pazienti. Un altro vantaggio è il costo ridotto: le strisce reattive necessarie per il test costerebbero “solo pochi centesimi”, e il circuito riutilizzabile avrebbe un costo di circa cinque dollari, secondo i ricercatori.
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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