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Inchiesta sul progetto del Ponte sullo Stretto di Messina: il ruolo di Salvini

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Inchiesta sul progetto del Ponte sullo Stretto di Messina: il ruolo di Salvini

Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina è al centro dell’attenzione della Procura di Roma che ha aperto una nuova indagine. Nonostante non si registrino ipotesi di reato o indagati al momento, l’iniziativa è stata scatenata da un esposto presentato da Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Secondo il ministro Salvini, la questione potrebbe avere principalmente implicazioni politiche.

Sono state sollevate questioni politiche riguardo l’odissea del Ponte sullo Stretto di Messina, spostandosi ora verso l’ambito legale. Non sono state stabilite ipotesi di reato mentre la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Alessia Natale, magistrata, gestirà il caso. L’esposto presentato da Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, Elly Schlein, segretaria del Pd e Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, ha dato il via all’apertura del fascicolo.

L’esposto si concentra principalmente su due aree. Una riguarda la capacità contrattuale di Webuild, l’impresa privata incaricata di costruire il ponte. L’altro punto prende in considerazione le figure coinvolte in Stretto di Messina Spa, in particolare il Direttore delle Risorse Umane Omar Mandosi. Ulteriori preoccupazioni sono state sollevate quando l’aggiornamento del progetto del ponte è stato consegnato solo un giorno dopo la finalizzazione dell’accordo tra Stretto di Messina Spa e il consorzio Eurolink, guidato da Webuild.

Relativamente al potere contrattuale di Webuild, Giuseppe Busia, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ha manifestato dubbi. Il decreto del Ponte sullo Stretto avrebbe assegnato a Webuild un “notevole potere contrattuale” che necessita di equilibrio. In merito a Omar Mandosi, del caso Anas coinvolgente anche Denis Verdini e suo figlio Tommaso, è stato menzionato, ma non indagato.

Si sono accese polemiche su come saranno finanziati i costi del Ponte sullo Stretto. Pietro Ciucci, CEO di Stretto di Messina spa, ha assicurato il massimo livello di collaborazione e trasparenza con le autorità investigative. Riguardo ai dubbi sulla capacità di aggiornare l’intera mappatura del progetto in sole 24 ore, ha affermato che il documento è stato esaminato da vari enti tra cui la Società Stretto di Messina e sottoposto alla revisione di un comitato scientifico.

L’esposto presentato da Bonelli, Schlein e Fratoianni menzionava anche il ministro Salvini, che avrebbe incontrato l’ex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, e il capo del consorzio Eurolink, Pietro Salini, prima dell’approvazione del decreto sul Ponte. Tuttavia, l’incontro non costituirebbe un illecito e, in questo momento, non sono state trovate ipotesi di reato né indagati dalla Procura. La posta in gioco per Salvini potrebbe essere principalmente politica, in quanto un’eventuale intervento da parte della magistratura potrebbe mettere in crisi l’intero progetto, sul quale il leader della Lega e il governo stanno puntando pesantemente.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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