Cronaca
Richiesta di riduzione della pena per Hjorth

Ci sarà un nuovo capitolo giudiziario nella vicenda legata all’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri, Mario Cerciello Rega, ucciso con 11 coltellate a Roma nel luglio 2019. La Cassazione ha disposto un terzo processo di appello per Gabriele Natale Hjorth, studente americano accusato di concorso anomalo in omicidio insieme all’amico Lee Elder Finnegan, già condannato a 15 anni e due mesi, pena ormai definitiva. I giudici hanno accolto la richiesta della difesa, rivedendo la pena che potrebbe essere ridotta.
La situazione attuale di Hjorth
Hjorth, condannato nel secondo processo a 11 anni e 4 mesi, è attualmente agli arresti domiciliari presso la villetta della nonna a Fregene. La Suprema Corte ha riconosciuto la sua responsabilità penale, ma sarà chiamata a valutare un possibile abbassamento della pena.
Le decisioni della Cassazione
Oltre al terzo appello, la Cassazione ha accolto il ricorso delle parti civili, annullando la sentenza di appello bis riguardante il risarcimento e dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale che chiedeva di riconoscere per Hjorth l’aggravante della consapevolezza di trovarsi di fronte a forze dell’ordine durante l’aggressione.
Il pg aveva già contestato la sentenza di luglio, evidenziando la "contraddittorietà della motivazione" riguardo al ruolo di Natale nella notte dell’omicidio. In primo grado, Hjorth e Elder erano stati condannati all’ergastolo, ma le condanne sono state ridotte in sede di appello. La morte di Cerciello Rega è collegata al tentativo di recuperare uno zaino sottratto dai due ragazzi a un ‘facilitatore’ di pusher, che aveva allertato i carabinieri. Durante l’incontro tra i carabinieri in borghese e i due studenti, questi ultimi hanno aggredito Cerciello, portando alla tragica morte del vicebrigadiere, avvenuta per shock emorragico durante il trasporto in ospedale.
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Rivelazioni choc in aula: i messaggi WhatsApp che svelano l’oscura ossessione di un omicidio! #OmicidioPetrangeli #DelittoRivelato
I messaggi
Immaginate di scoprire messaggi che anticipano un tragico destino: Gianluca Molinaro, accusato dell’omicidio di Manuela Petrangeli, inviava audio WhatsApp carichi di rabbia e minacce. Frasi come “Mi sta portando all’estremo” e “maledetta, gliela devo fare pagare” emergono dalle indagini, lasciando tutti a chiedersi cosa si nascondeva dietro quelle parole. Dagli esami del suo telefono, si scopre anche un’accusa di manipolazione verso l’ex compagna, con lei che ribatteva: “Mi stai portando all’esasperazione”. Sarà vero? Questi dettagli stanno accendendo la curiosità sul processo in corso.
L’omicidio
E se un delitto fosse stato pianificato sotto gli occhi di tutti? Molinaro è imputato per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, stalking e detenzione abusiva di un fucile a canne mozze. Gli inquirenti hanno rintracciato SMS scambiati con un amico, dove si leggeva “oggi forse prendo due piccioni con una fava” prima del fatto, e dopo l’uccisione della 51enne fisioterapista: “gli ho sparato du botti”. Non potete non domandarmi: cosa ha spinto un uomo a compiere un gesto così estremo, per poi costituirsi in caserma con l’arma in mano?Le testimonianze
Cosa accade quando le testimonianze in aula rivelano dettagli agghiaccianti? I carabinieri hanno descritto la scena del crimine, con il corpo di Manuela vicino alla sua auto, mentre i colleghi tentavano disperatamente di rianimarla. Altri militari hanno raccontato la confessione di Molinaro in caserma, dove, al telefono con la madre, ha ammesso: “sono in caserma, quello che ho detto ho fatto”. Le indagini sui dispositivi sequestrati hanno confermato un pattern di stalking e premeditazione, come sottolineato dai legali della famiglia. Queste storie fanno sorgere una domanda: quanto profondo era il risentimento che ha condotto a questo dramma?
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