Cronaca
Andrea Di Nino, romano morto in cella: ipotesi omicidio. Un testimone accusa 3 agenti

La famiglia di Andrea Di Nino, morto nel carcere Mammagialla di Viterbo il 21 maggio 2018, è sempre stata convinta che «Andrea è stato ucciso». Un testimone, vicino di cella della vittima, ha dato nuovo impulso alle indagini, portando la procura di Viterbo a riaprire il caso con l’ipotesi di omicidio volontario a carico di ignoti. Attualmente, un processo per omicidio colposo è già in corso contro l’ex responsabile dell’Uos Medicina penitenziaria dell’Asl di Viterbo, un assistente capo della polizia penitenziaria, il medico di guardia e il direttore della casa circondariale, quest’ultimo assolto in primo e secondo grado. L’avvocato di parte civile Nicola Triusciuoglio, vista la nuova indagine, chiederà la sospensione del processo nella prossima udienza di maggio.
I SOSPETTI
Il testimone ha raccontato di tre agenti della penitenziaria, noti tra i detenuti per soliti picchiare chi dava fastidio, che sono entrati nella cella di Andrea. Lui urlava, chiedeva aiuto, poi è stato portato via a spalla. Uno degli agenti ha detto: «Questo è morto». Prima del racconto del testimone, la famiglia aveva già notato diverse incongruenze con l’ipotesi di suicidio. Andrea, trovato impiccato con un lenzuolo nella cella di isolamento, secondo i fratelli «non si sarebbe mai suicidato». All’epoca di 36 anni, stava per finire di scontare la sua pena e «non vedeva l:@ora di tornare dai suoi figli», secondo i familiari. La modalità del suicidio è sospetta: la sua corporatura non gli avrebbe permesso di impiccarsi da un’altezza così bassa con un materiale inadeguato. Il giorno del presunto suicidio, aveva chiesto alla madre vestiti nuovi per un’udienza imminente per gli arresti domiciliari. Andrea aveva espresso preoccupazioni per la sua sicurezza in carcere, raccontando di una colluttazione con un agente che lo aveva minacciato: «Tu non esci vivo di qui». Alcuni detenuti avevano parlato di un gruppo di agenti noto come «plotone punitivo», che picchiava i detenuti «fastidiosi». Andrea era stato preso di mira per aver chiesto spesso di parlare con la madre malata, subendo violenze fino al giorno della sua morte.
IL RACCONTO
Andrea era in isolamento per una lite con un altro detenuto. Intorno alle 14, avrebbe chiesto un accendino, urlando che gli era stato sequestrato. Il testimone ha visto arrivare tre agenti della «squadretta». Sentendo le urla, ha staccato uno specchietto per osservare. Gli agenti sono entrati nella cella di Andrea, restando per circa 20 minuti tra pianti, lamenti e urla di «Stai zitto». Poi il silenzio, seguito dalla frase «Questo non si riprende più, questo è morto». La «squadretta» ha portato via Andrea, esanime, con i piedi che strisciavano a terra. Le celle sono state oscurate e i detenuti spostati. Il giorno dopo, la notizia: Andrea trovato impiccato in cella.
Commento: Perché un carcere dovrebbe avere un "plotone punitivo"? Sembra di essere tornati ai tempi delle SS, ma questa è l’Italia oggi, dove la giustizia a volte è più oscura di un film di Tarantino. E pensare che qualcuno crede ancora che il sistema penitenziario funzioni…
Cronaca
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La denuncia di Federica: l’iniezione che ha cambiato tutto

FillerLabbra #MedicinaEsteticaScoperta L’incubo di una donna sfigurata da un trattamento illegale e low cost – ecco i rischi nascosti del mondo della bellezza!
La tentazione dei social e l’incontro con l’ignoto
Federica Funi, 34 anni di Roma, pensava di aver trovato l’offerta perfetta per rendere le sue labbra più affascinanti, ma il tentativo di risparmiare si è trasformato in un vero disastro. Ogni giorno, scorrendo i feed dei social, si imbatteva in post di dottoresse dell’Est Europa che promettevano risultati sorprendenti. Curiosa e attirata da prezzi apparentemente irresistibili, ha contattato una dottoressa bulgara via Instagram, usando il traduttore per superare la barriera linguistica. Ma quello che sembrava un appuntamento rapido si è rivelato un incubo: iniezioni eseguite in un appartamento affittato, senza verifiche o sterilizzazione adeguata.
I pericoli di procedure non regolamentate
Federica aveva già filler alle labbra, ma la dottoressa non ha esitato a iniettarne altro, ignorando ogni cautela. “Se fosse stata competente, mi avrebbe consigliato di sciogliere prima il vecchio filler”, racconta con rammarico. L’appuntamento, fissato con appuntamenti ogni 30 minuti, si è svolto in una casa di fronte al Colosseo, convertita temporaneamente in uno studio improvvisato. Strumenti non sterilizzati, comunicazioni a gesti e zero visite preliminarie: non c’era traccia di trasparenza o professionalità, alimentando subito i sospetti di Federica.Le conseguenze devastanti e i segni permanenti
Il filler utilizzato, chiamato Sardenya e non autorizzato, non si è riassorbito come promesso, lasciando labbra deformate con bozzi, grinze e un buco al centro. “Sembravo un mostro”, confida Federica, che ha dovuto sottoporsi a interventi dolorosi come l’ialuronidasi e persino piccoli fori per rimuovere il prodotto. Il risultato? Labbra che ora appaiono come un palloncino sgonfio, con effetti psicologici che l’hanno costretta a isolarsi. Tutto per un costo leggermente più basso, che alla fine non è valso nemmeno la promessa di una tecnica “Russian Lips” esclusiva.
Il business sommerso e il silenzio delle vittime
In un mondo di filler low cost e dottoresse itineranti, Federica non è l’unica a cadere in questa trappola. Operazioni a domicilio, senza regolamentazioni, attirano chi cerca shortcut per la bellezza, ma i rischi sono altissimi. Nonostante il trauma, Federica non ha denunciato la dottoressa, complice l’anonimato e il lavoro “a nero”. “Prima ci vai senza pensarci, poi ti chiedi come hai potuto”, ammette, evidenziando un fenomeno che continua a crescere nell’ombra.
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