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Giovani e lavoro: la fatica invisibile di chi deve ancora iniziare

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Giovani e lavoro: la fatica invisibile di chi deve ancora iniziare

Hai presente quella sensazione di stanchezza che ti prende quando pensi a tutto quello che ti aspetta? Non parlo di una semplice giornata difficile, parlo di quella sensazione di frustrazione, ansia e stanchezza data da un futuro incerto e difficile da conquistare.

È la stanchezza di chi ha paura di sbagliare, di non essere all’altezza, di non trovare il proprio posto in un mondo che corre veloce e sembra non aspettare nessuno.

È così che molti giovani si sentono oggi, perché il lavoro che doveva essere la realizzazione e la conquista di un’indipendenza, spesso si trasforma in un peso, un dovere che ti schiaccia prima ancora di iniziare.

Scegliere cosa fare “da grandi” non è mai stato così difficile. Perché il futuro non è più un percorso lineare, è una strada piena di curve e ostacoli invisibili: la precarietà, i contratti brevi e la mancanza di sicurezza fanno si che molti vivano in un eterno presente, senza poter pianificare o sognare davvero.

‘’I giovani non hanno voglia di lavorare’’, detto da imprenditori frustrati, opinionisti da talk show e perfino alcuni genitori. Ma è davvero così? Uno dei problemi principali che i giovani affrontano oggi è la precarietà del lavoro. Molti si trovano a fare contratti temporanei, stage non retribuiti o lavori freelance.

Se da un lato questi lavori possono sembrare un punto di partenza, spesso non danno la certezza di una carriera stabile. In Italia, quasi il 40% dei giovani tra i 25 e i 34 anni lavora con contratti precari e questo porta a una situazione economica instabile per molti.

Alcuni dati mostrano che molti laureati italiani faticano a trovare un impiego stabile. Anche se la formazione universitaria è importante, non sempre riesce a rispondere alle necessità del mercato del lavoro, lasciando i giovani a fronteggiare un mondo che cambia velocemente.

Ti fanno sentire che se rifiuti sei tu il problema, ma penso nessuno sia disposto a scomparire per un lavoro che non lo riconosce come persona.

E qui sta il punto: i giovani vogliono lavorare, ma vogliono farlo con dignità. Cercano posti dove crescere, contribuire e non solo sopravvivere.

Se continuiamo a leggere il silenzio dei giovani come disinteresse, rischiamo di non capire che si tratta spesso di disillusione. Il lavoro non è più (solo) un dovere: è diventato anche un campo di battaglia per l’autodeterminazione.

Forse è ora di smettere di chiedere ai giovani di “adattarsi”, e iniziare a chiederci a cosa li stiamo chiedendo di adattarsi.

Siamo giovani, non siamo stanchi di lottare, ma vogliamo farlo per un futuro che ci appartenga davvero.

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