Cronaca
Roma e Napoli bruciano. Carabinieri mandati sui roghi tossici con mascherine FFP2: «Dotare militari di maschere antigas»

Roma e Napoli bruciano. Carabinieri mandati sui roghi tossici con mascherine FFP2 Nsc: «Dotare militari di maschere antigas»
«In questi giorni nella Terra dei Fuochi e nella Capitale, vasti incendi hanno distrutto capannoni industriali e depositerie di veicoli con valori delle diossine di oltre 35 volte superiori al limite fissato dall’OMS. I militari di Napoli e di Roma sono stati mandati sul posto sprovvisti di idonei dispositivi di protezione individuale».
Lo rende noto Giovanni Pittalis, Capo dipartimento Sicurezza sul Lavoro del Nuovo Sindacato Carabinieri (NSC).
«Nei territori di Caivano e Afragola, ad esempio – spiega Pittalis -, il Procuratore sollecitava pubblicamente i responsabili delle forze dell’ordine a fornire una adeguata dotazione di D.P.I. al personale dipendente proprio per rispondere all’allarme diossina che in quel territorio è correlabile all’incremento significativo della mortalità, per leucemia e altri tumori, nella popolazione locale.
È impensabile che i carabinieri siano mandati in questi interventi con le sole mascherine FFP2, che non rappresentano una idonea protezione contro la diossina. Riteniamo necessarie le maschere antigas per quel tipo di intervento, poiché già la più sicura mascherina FFP3, offre una protezione affidabile contro le sostanze nocive solo se pari a 30 volte il valore limite e, in questo caso – conclude – parliamo di valori che vanno oltre 35 volte i valori limite fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità».
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La denuncia di Federica: l’iniezione che ha cambiato tutto

FillerLabbra #MedicinaEsteticaScoperta L’incubo di una donna sfigurata da un trattamento illegale e low cost – ecco i rischi nascosti del mondo della bellezza!
La tentazione dei social e l’incontro con l’ignoto
Federica Funi, 34 anni di Roma, pensava di aver trovato l’offerta perfetta per rendere le sue labbra più affascinanti, ma il tentativo di risparmiare si è trasformato in un vero disastro. Ogni giorno, scorrendo i feed dei social, si imbatteva in post di dottoresse dell’Est Europa che promettevano risultati sorprendenti. Curiosa e attirata da prezzi apparentemente irresistibili, ha contattato una dottoressa bulgara via Instagram, usando il traduttore per superare la barriera linguistica. Ma quello che sembrava un appuntamento rapido si è rivelato un incubo: iniezioni eseguite in un appartamento affittato, senza verifiche o sterilizzazione adeguata.
I pericoli di procedure non regolamentate
Federica aveva già filler alle labbra, ma la dottoressa non ha esitato a iniettarne altro, ignorando ogni cautela. “Se fosse stata competente, mi avrebbe consigliato di sciogliere prima il vecchio filler”, racconta con rammarico. L’appuntamento, fissato con appuntamenti ogni 30 minuti, si è svolto in una casa di fronte al Colosseo, convertita temporaneamente in uno studio improvvisato. Strumenti non sterilizzati, comunicazioni a gesti e zero visite preliminarie: non c’era traccia di trasparenza o professionalità, alimentando subito i sospetti di Federica.Le conseguenze devastanti e i segni permanenti
Il filler utilizzato, chiamato Sardenya e non autorizzato, non si è riassorbito come promesso, lasciando labbra deformate con bozzi, grinze e un buco al centro. “Sembravo un mostro”, confida Federica, che ha dovuto sottoporsi a interventi dolorosi come l’ialuronidasi e persino piccoli fori per rimuovere il prodotto. Il risultato? Labbra che ora appaiono come un palloncino sgonfio, con effetti psicologici che l’hanno costretta a isolarsi. Tutto per un costo leggermente più basso, che alla fine non è valso nemmeno la promessa di una tecnica “Russian Lips” esclusiva.
Il business sommerso e il silenzio delle vittime
In un mondo di filler low cost e dottoresse itineranti, Federica non è l’unica a cadere in questa trappola. Operazioni a domicilio, senza regolamentazioni, attirano chi cerca shortcut per la bellezza, ma i rischi sono altissimi. Nonostante il trauma, Federica non ha denunciato la dottoressa, complice l’anonimato e il lavoro “a nero”. “Prima ci vai senza pensarci, poi ti chiedi come hai potuto”, ammette, evidenziando un fenomeno che continua a crescere nell’ombra.
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