Attualità
Protesta di Pro Vita per l’8 marzo: insulto alle vittime di femminicidio

Alla vigilia dell’8 marzo, i Pro Vita hanno lanciato una nuova campagna offensiva nei confronti delle vittime di femminicidio e delle loro famiglie. La consigliera regionale nel Lazio e coordinatrice della segreteria nazionale del Partito Democratico, Marta Bonafoni, ha commentato con parole forti: “Vergogna, vergogna senza fine”.
La crociata dei Pro Vita continua alla vigilia dell’8 marzo, la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Con una nuova campagna, l’associazione Pro Vita e Famiglia attacca Non Una Di Meno e le vittime di femminicidio.
In uno dei furgoncini pubblicitari parcheggiati in centro a Roma, con uno sfondo fucsia e una donna incinta, si legge lo slogan provocatorio “Non una di meno… ma per davvero”. Questo manifesto offende le vittime di femminicidio e solleva il dibattito sull’interruzione volontaria di gravidanza e sull’autodeterminazione delle donne in Italia.
La consigliera regionale e coordinatrice della segreteria nazionale del Partito Democratico, Marta Bonafoni, ha denunciato il manifesto sui social, evidenziando la gravità del messaggio e la mancanza di rispetto per le donne vittime di violenza di genere.
Anche la consigliera regionale ed esponente del Pd, Emanuela Droghei, ha criticato duramente i manifesti definendoli “agghiaccianti” e sottolineando la volontà di lottare contro una cultura che mette in discussione i diritti delle donne.
La Casa Internazionale delle Donne ha definito la campagna dei Pro Vita una provocazione inaccettabile, attaccando non solo la libertà di scelta delle donne ma anche chi lotta contro la violenza di genere. E’ stata ribadita la volontà di difendere il diritto all’aborto e all’autodeterminazione delle donne.
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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