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Chiesti tre ergastoli per l’omicidio di Leonardo Muratovic, ucciso a coltellate ad Anzio

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Chiesti tre ergastoli per l’omicidio di Leonardo Muratovic, ucciso a coltellate ad Anzio

La procura ha chiesto l’ergastolo per due fratelli di 22 e 27 anni, Adam e Ahmed Ed Drissi, e Amor Hadj, di 29 anni, accusati di aver ucciso Leonardo Muratovic nel 2022 ad Anzio.

Ergastolo: è la condanna che chiede la procura per i tre giovani accusati dell’omicidio di Leonardo Muratovic, ucciso ad Anzio a luglio del 2022 all’uscita di un locale della riviera di Ponente. A processo sono finiti due fratelli di 22 e 27 anni, Adam e Ahmed Ed Drissi, e Amor Hadj, di 29 anni.

Secondo quanto ricostruito dai pm, l’omicidio è avvenuto al termine di una lite scoppiata all’interno del locale Bodeguita di Anzio. Nel corso della colluttazione Muratovic fu colpito con una coltellata. I due fratelli, spiegano gli inquirenti, sono “gravemente indiziati di aver aggredito con pugni e schiaffi” il pugile “per poi colpirlo con armi da taglio al petto e al fianco, cagionandone la morte”.

Adam ha confessato di aver sferrato la coltellata fatale per Muratovic, ma gli altri due imputati sarebbero stati “sempre presenti e partecipi sin dall’inizio delle prime minacce”. Tutti e tre sono stati ripresi dalle telecamere di sicurezza installate in zona mentre cercavano di scappare dopo aver ucciso il pugile 25enne.

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Adam e Ahmed Eddrissi si sono costituiti spontaneamente dopo una fuga durata due giorni. Hanno dichiarato alle forze dell’ordine della vendetta della famiglia Muratovic. E in…

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

Mentre le strade di Roma risuonavano ancora di musica, canti e slogan del Pride, un episodio vergognoso ha ricordato a tutti quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusione: sabato 14 giugno, intorno alle 19:40, subito dopo la fine del Roma Pride, che ha visto la partecipazione di oltre 200.000 persone, una donna trans è stata aggredita nei pressi della stazione Laurentina della linea B della metropolitana.

Secondo quanto denunciato da Gay Help Line, la vittima è stata bersagliata da insulti transfobici e poi inseguita da un uomo. Le frasi urlate “Frocio!”, “Si vede che sei un uomo!” sono lo specchio di un odio che continua a diffondersi nella nostra società, anche quando i riflettori delle grandi manifestazioni si spengono. Fortunatamente, alcuni passanti sono intervenuti, permettendo alla donna di mettersi in salvo su un autobus.

Il servizio di supporto Gay Help Line, che ha ricevuto la segnalazione attraverso il numero verde 800 713 713, lancia ora un appello a chiunque fosse presente in quel momento alla fermata: servono testimonianze, immagini, qualunque elemento possa aiutare a identificare l’aggressore.

In una città che poche ore prima celebrava l’amore, la libertà e la diversità, è inaccettabile che un’aggressione del genere possa accadere in pieno giorno, in un luogo pubblico, tra l’indifferenza di molti.

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