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Diciottenne abusa della sorella di 12 anni mentre giocano alla Playstation

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Diciottenne abusa della sorella di 12 anni mentre giocano alla Playstation

La richiesta dei pm della procura di Roma è una condanna a sette anni e sei mesi di carcere. I fatti, stando a quanto ricostruito, sono avvenuti per anni in un appartamento di Ostia fino al 2020, quando la ragazza aveva 12 anni.

Un ragazzo di 24 anni, all’epoca dei fatti ne aveva 18, è accusato di violenza sessuale nei confronti della sorella. La richiesta dei pm della procura di Roma è una condanna a sette anni e sei mesi di carcere. I fatti, stando a quanto ricostruito, sono avvenuti per anni in un appartamento di Ostia fino al 2020, quando la ragazza aveva 12 anni.

La ragazzina avrebbe telefonato alla polizia per raccontare quanto avveniva in casa: maltrattamenti continui da parte dei genitori e del fratello maggiore, il disagio per il papà che girava per casa sempre nudo e il fratello più grande di quattro anni che spesso era violento. Un racconto grave, ma non sufficiente per l’allontanamento immediato da quella casa. La ragazzina, stando a quanto riporta il Messaggero, decide quindi di andare oltre e racconta agli inquirenti anche episodi di violenza sessuali ad opera del fratello.

Il primo episodio risale al 5 gennaio 2028, in occasione del 18esimo compleanno del ragazzo. Lui e lei sono sdraiati sul letto e giocano alla Playstation. Lui la blocca all’improvviso e comincia a palpeggiarla. Lei è sotto shock e non dice nulla. Le violenze continuano per anni, in modo sempre più violento, ma la ragazzina non riesce a trovare il coraggio per raccontare. Il disagio familiare della giovane emerge con certezza nel…

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

Mentre le strade di Roma risuonavano ancora di musica, canti e slogan del Pride, un episodio vergognoso ha ricordato a tutti quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusione: sabato 14 giugno, intorno alle 19:40, subito dopo la fine del Roma Pride, che ha visto la partecipazione di oltre 200.000 persone, una donna trans è stata aggredita nei pressi della stazione Laurentina della linea B della metropolitana.

Secondo quanto denunciato da Gay Help Line, la vittima è stata bersagliata da insulti transfobici e poi inseguita da un uomo. Le frasi urlate “Frocio!”, “Si vede che sei un uomo!” sono lo specchio di un odio che continua a diffondersi nella nostra società, anche quando i riflettori delle grandi manifestazioni si spengono. Fortunatamente, alcuni passanti sono intervenuti, permettendo alla donna di mettersi in salvo su un autobus.

Il servizio di supporto Gay Help Line, che ha ricevuto la segnalazione attraverso il numero verde 800 713 713, lancia ora un appello a chiunque fosse presente in quel momento alla fermata: servono testimonianze, immagini, qualunque elemento possa aiutare a identificare l’aggressore.

In una città che poche ore prima celebrava l’amore, la libertà e la diversità, è inaccettabile che un’aggressione del genere possa accadere in pieno giorno, in un luogo pubblico, tra l’indifferenza di molti.

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