Attualità
Il racconto di Elena Pantaleo, la campionessa di kickboxing rapinata a Roma: “Sono stata caparbia”

Elena Pantaleo, campionessa europea e mondiale di kickboxing e consigliera nazionale del Coni, è stata derubata della borsa a Roma. Caparbiamente, l’ha rintracciata e l’ha recuperata senza l’aiuto delle forze dell’ordine.
Erano da poco passate le 21 a piazza della Repubblica, a pochi passi dalla stazione Termini di Roma. Elena Pantaleo, campionessa europea e mondiale di kickboxing e consigliera nazionale del Coni, appoggia la sua borsa a terra. Un uomo la vede, la ruba e scappa. Sei mesi la 28enne aveva subito un altro furto, sempre nella Capitale, e così si era convinta ad acquistare un geolocalizzatore gps, che si collega direttamente a una app sul telefono e permette di individuare gli oggetti scomparsi.
Grazie al Gps Elena riesce a localizzare la sua borsa, avverte i carabinieri in servizio in piazza, ma lodo dicono che non possono fare niente. Così la sportiva decide di prendere un monopattino e di mettersi all’inseguimento del ladro, seguendo il segnale satellitare. Arriva fino ai portici della stazione Termini. C’è un presidio fisso dell’esercito, ma i militari dicono di non potersi allontanare per non lasciare scoperta la postazione. Anche loro non possono fare nulla per aiutarla, ma Elena non molla. Vede la sua borsa, vede il ladro posarla a terra, vicino ai giacigli di alcuni senzatetto, e poi allontanarsi a piedi. È in quel momento che la ragazza, con uno scatto, riesce a recuperare la sua borsa (con tutto il contenuto ancora all’interno) e a scappare.
“Più che coraggio, ho avuto la prontezza…
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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