Attualità
La mamma di Maria Grazia, morta dopo un Day Hospital: “Ti hanno tolto la vita, a noi la pace”

Nel giorno del suo 31esimo compleanno, la famiglia di Maria Grazia Di Domenico ha voluto ricordare la ragazza, morta a soli 27 anni dopo un intervento all’utero. Da anni i familiari della giovane si battono affinché sia fatta giustizia e non sia dimenticata.
Riceviamo e pubblichiamo le lettere che la madre e il fidanzato di Maria Grazia Di Domenico – Anna Maria D’Elia e Matteo Callegaro – hanno scritto per omaggiarla nel giorno del suo 31esimo compleanno. Maria Grazia aveva solo 27 anni quando è morta in seguito a un intervento di conizzazione al collo dell’utero eseguito alla clinica Santa Famiglia di Roma. Quella che doveva essere un’operazione di routine, eseguita in day hospital, si è tramutata in un incubo: l’utero le è stato perforato, ma inizialmente nessuno se ne è accorto, tanto che le furono prescritti dei fermenti lattici nonostante i dolori atroci che provava. Maria Grazia Di Domenico è morta il 24 maggio 2021, venti giorni prima del suo matrimonio. Il medico che l’ha operata è accusato di omicidio colposo. Da allora i familiari si battono per avere giustizia, per fare in modo che sia ricordata e che la sua vicenda non passi sotto silenzio con il passare degli anni.
La mamma di Maria Grazia: “Confidiamo nella giustizia”
31 anni fa nacque Maria Grazia, la gioia più grande della mia famiglia, a distanza dalla nascita della sorella di 11 anni. Maria Grazia, un amore immenso, tutto girava intorno a lei, avevamo una luce forte che brillava con il nostro amore anche nel buio. È cresciuta con…
Attualità
Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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