Attualità
Ucciso per una bici a Colle Oppio, un testimone: “Per sgozzarlo ha usato un coccio di bottiglia”

Lo ha ucciso nel luglio 2023 con un vetro rotto: “Si era seduto sulla sa bicicletta – ha spiegato un testimone in aula – Poi è scoppiata la lite”.
Una lite per una bicicletta, poi lo sgozzamento con un collo di bottiglia rotto. È quanto raccontato da un testimone in aula sulla serata del 23 luglio dello scorso anno, quando a Colle Oppio è stato ucciso Masoud Rohaman, un quarantacinquenne originario del Bangladesh, sgozzato con un vetro da un venditore ambulante di 46 anni, R.M.. Per quanto avvenuto, quest’ultimo è accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi.
Secondo quanto ribadito in aula dal testimone nei giorni scorsi, la lite sarebbe scoppiata a pochi metri dalla Domus Aurea di Nerone, verso le ore 20, per la bicicletta della vittima. L’aggressore si sarebbe seduto sul mezzo leggero, forse per rubarglierla. Da qui, dopo diverbio e insulti, è cominciata l’escalation di violenza, fino al colpo fatale con un coccio di bottiglia.
L’omicidio di Colle Oppio: sgozzato per una bici, cosa è successo
“Se non scendo dalla bici che mi fai?”, gli avrebbe risposto alla richiesta di scendere dal mezzo. Poi la situazione è degenerata. In aula il testimone ha ripercorso l’accaduto. Prima le spinte poi i pugni. Fino a quando il quarantacinquenne gli ha tirato il casco sulla parte posteriore della testa, per difendersi. “È stato a quel punto che l’altro ha preso un coccio di bottiglia a terra e si è scagliato sulla parte sinistra del collo. Il sangue è iniziato subito ad sgorgare”, ha dichiarato,…
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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