Attualità
Esplorano una grotta e scoprono un’arma risalente a 80.000 anni fa, al di là delle capacità rozze dell’Homo sapiens.

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Gli scienziati hanno fatto una scoperta che potrebbe riscrivere la storia dell’evoluzione umana: una lancia in osso risalente a 80.000 anni fa, realizzata da ominidi come i Neanderthal molto prima che l’Homo sapiens mettesse piede in Europa. Immagina di scoprirlo proprio ora, una prova che i nostri antenati antichi erano forse più innovativi di quanto sospettassimo, con tecnologie complesse che sfidano tutto ciò che credevamo!
La sorprendente lancia del passato
Analisi recenti su una punta di lancia trovata in una grotta del Caucaso settentrionale rivelano che è stata creata tra 80.000 e 70.000 anni fa. Rinvenuta nel 2003 nella grotta di Mezmaiskaya, questa arma lunga 9 centimetri è stata scolpita dall’osso di un animale di grandi dimensioni, probabilmente un bisonte, e poi unita a un’asta di legno con colla bituminosa. Prove di una tecnologia avanzata
I risultati dello studio, che ha esaminato segni di impatti compatibili con la caccia, suggeriscono che la lancia è stata usata efficacemente poco dopo la sua creazione, senza essere riutilizzata. Per decenni, si pensava che i Neanderthal si limitassero a strumenti di pietra, ma questa scoperta mostra come sapessero lavorare con materiali come l’osso e il catrame, anticipando le innovazioni dell’Homo sapiens. La sua fabbricazione non era improvvisata: richiedeva selezione della materia prima, intaglio con strumenti di pietra e preparazione di una sostanza adesiva, indicando una pianificazione meticolosa e una profonda conoscenza dei materiali. Come indicano i responsabili dello studio, “questo tipo di strumenti non solo implicano abilità motorie complesse, ma anche una capacità di ragionamento avanzata”.
Perché è così raro trovare reperti del genere?
Ma ecco il colpo di scena: perché non ne abbiamo trovati di più? Si ipotizza che la maggior parte di questi strumenti sia stata creata in ambienti dove i materiali organici non potevano conservarsi nel tempo. Solo in luoghi speciali come la grotta di Mezmaiskaya, le condizioni perfette hanno permesso a questa lancia di arrivare fino a noi, rendendola un tesoro che ci fa riflettere sul vero potenziale dei nostri antenati.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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