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Una domanda da pivello aiuta gli scienziati a rivelare che le rughe sulle dita causate dall’acqua sono un vantaggio per l’uomo

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Una domanda da pivello aiuta gli scienziati a rivelare che le rughe sulle dita causate dall’acqua sono un vantaggio per l’uomo

MisteroDellAcqua Come una semplice domanda di un bambino ha trasformato un bagno quotidiano in una sorprendente scoperta scientifica che potrebbe cambiare tutto ciò che sappiamo sulle nostre dita!

Immaginate di immergere le mani in acqua e notare come le dita si raggrinziscano, un fenomeno che tutti diamo per scontato. Eppure, dietro questo gesto comune si nasconde un meccanismo evolutivo affascinante, tutto partito da una curiosità infantile. Un bambino ha posto una domanda sul portale The Conversation che ha catturato l’attenzione del professor Guy German, ingegnere biomedico dell’Università di Binghamton negli USA. La sua query: “Le rughe sulle dita si formano sempre allo stesso modo?”, ha innescato una ricerca che rivela come questo effetto non sia casuale, ma un sofisticato adattamento biologico con potenziali usi in medicina e persino nelle indagini forensi.

Un modello unico come un’impronta digitale

Per esplorare se le rughe seguissero un pattern costante, German e la sua collega Rachel Laytin hanno coinvolto volontari in un esperimento semplice ma intrigante. Dopo aver immerso le dita in acqua per 30 minuti, hanno scattato foto dettagliate, ripetendo il processo il giorno successivo. Il risultato? Le pieghe si formavano esattamente allo stesso modo ogni volta, dimostrando che si tratta di un disegno fisso e unico, quasi come una seconda impronta digitale. Questa scoperta, pubblicata sul Journal of the Mechanical Behavior of Biomedical Materials, evidenzia come i solchi non siano casuali, ma segni precisi attivati dall’umidità.

La vera ragione dietro le rughe

Una domanda da pivello aiuta gli scienziati a rivelare che le rughe sulle dita causate dall’acqua sono un vantaggio per l’uomo

A lungo si è creduto che le dita si raggrinzissero per assorbimento d’acqua, ma studi come quelli citati da Science Alert hanno sfatato questo mito. In realtà, l’acqua penetra nei condotti sudoripari, alterando l’equilibrio salino della pelle e innescando una risposta neurologica. Le fibre nervose inviano segnali al cervello, che ordina ai vasi sanguigni di contrarsi. “I vasi sanguigni non cambiano molto posizione: si muovono leggermente, ma rispetto ad altri vasi sanguigni sono piuttosto statici”, ha spiegato German. ‘Ciò significa che le rughe dovrebbero formarsi allo stesso modo, e abbiamo dimostrato che è così’. Un test su uno studente con nervo danneggiato ha confermato tutto: senza reazione, “Niente rughe!”.

Applicazioni che cambiano il gioco

Questo fenomeno non è solo una curiosità: è un vantaggio evolutivo che migliora la presa su superfici bagnate, aiutando a manipolare oggetti o muoversi in ambienti scivolosi. Tuttavia, le rughe scompaiono per non ridurre la sensibilità o aumentare i rischi. In campo forense, comprendere questi pattern potrebbe rivoluzionare l’identificazione di corpi in acqua o i sistemi biometrici. Come ha commentato German, “La biometria e le impronte digitali sono parte integrante del mio cervello”, e ‘Mi sento come un bambino in un negozio di caramelle, perché c’è tanta scienza che non conosco’. Le potenzialità sono illimitate, aprendo porte a nuove esplorazioni scientifiche.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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