Cronaca
CASO ORLANDI Si aprono due tombe: atteso esame del Dna

CASO ORLANDI Dopo le segnalazioni della famiglia della ragazza scomparsa trentasei anni fa la magistratura vaticana ha disposto l’apertura di due sepolcri al Cimitero Teutonico, all’interno delle mura vaticane.
Tutto ciò per poter verificare se la Orlandi vi possa trovarsi sepolta, come indicato da una lettera anonima. Le operazioni, che potrebbero durare diverse ore, prevedono una prima verifica morfologica sulle ossa dalle quali si potrebbe ricavare una prima datazione. Poi saranno fatti i prelievi per l’esame del Dna. Saranno aperte la cosiddetta «Tomba dell’Angelo» in cui è sepolta la principessa Sophie von Hohenlohe, morta nel 1836, e quella vicina in cui è sepolta la principessa Carlotta Federica di Mecklemburgo, morta nel 1840.
PRESENTE LA FAMIGLIA ORLANDI
Il supporto all’autorità giudiziaria sarà garantito dal personale del Centro Operativo di Sicurezza della Gendarmeria vaticana. Presenti anche i familiari di Emanuela Orlandi con legale e perito. Il primo esame delle ossa potrà dare una datazione «approssimativa». Lo ha detto Giovanni Arcudi, Professore di Medicina legale all’Università Tor Vergata, incaricato dalla magistratura vaticana di esaminare i reperti e prelevare i campioni per l’esame del Dna.
DATAZIONE
In un’intervista Andrea Tornielli ha spiegato: «Da questa prima analisi delle ossa possiamo proporre una datazione, certamente approssimativa. Ma per i periodi che a noi servono, di 50, 100, 200 anni, la possiamo fare. Possiamo distinguere se è un osso di 10 anni o che è stato lì 50 anni o 150 anni. Possiamo fare già la diagnosi di sesso se le strutture ossee risulteranno tutte ben conservate. Si potrebbe anche arrivare, dopo questo primo esame, ad escludere l’ipotesi che i resti scheletrici appartengano a persone diverse rispetto a quelle due che sono state sepolte lì».
LE OPERAZIONI
«L’esame del Dna sarà fatto in ogni caso per raggiungere delle certezze e per escludere in maniera definitiva e categorica che nelle due tombe ci sia qualche reperto attribuibile alla povera Emanuela», riferisce il professionista incaricato delle operazioni di rilevamento.
«I tempi di estrazione del Dna variano notevolmente in qualsiasi laboratorio del mondo avvengano a seconda dello stato di conservazione dei resti scheletrici. Possono variare, possono essere necessari 20 giorni, 30 giorni, e possono essere anche 60 perché talvolta bisogna ripetere l’esame. Tenendo presente che per l’identificazione noi abbiamo bisogno dell’estrazione del Dna nucleare, che subisce delle degenerazioni, delle variazioni importanti a seguito degli eventi atmosferici. Il Dna mitocondriale possiamo estrarlo più facilmente ma quello non ci consente di fare analisi di comparazione o di fare il profilo genetico», riferisce Arcudi.
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